Asportazione di tumore dell’utero
Le neoplasie dell’utero si distinguono in carcinoma della cervice (la parte inferiore dell’utero) e tumore dell’endometrio (= il tessuto di rivestimento della cavità interna dell’utero), a seconda sella sede di insorgenza.
Carcinoma della cervice
Si sviluppa a livello della cervice uterina, quella porzione di utero aggettante (cioè che sporge) in vagina. Colpisce prevalentemente le donne di età compresa tra 35 e 55 anni.
Le fasi iniziali della malattia non presentano evidenti sintomi clinici; successivamente possono verificarsi modeste perdite ematiche nell’intervallo tra i cicli mestruali o dopo i rapporti sessuali. È possibile, inoltre, che si manifestino consistenti secrezioni vaginali. La diagnosi viene effettuata solitamente con il pap test (che tutte le donne dovrebbero eseguire annualmente).
In caso di riscontro di anomalie cellulari al pap test sono indicati ulteriori accertamenti:
- colposcopia – esame diagnostico che, attraverso uno strumento ottico, ingrandisce la cervice uterina da 6 fino a 40 volte;
- biopsia – asportazione di un piccolo frammento della cervice uterina per esame istologico;
- conizzazione – asportazione con ansa diatermica (strumento che genera calore per mezzo dell’elettricità) di una porzione più ampia di cervice uterina.
Tumore dell’endometrio
Si sviluppa a livello del corpo uterino, dal tessuto che riveste internamente la cavità uterina, denominato appunto endometrio. È il tumore di pertinenza ginecologica più frequente e colpisce prevalentemente donne in età compresa tra 50 e 70 anni.
Il sintomo principale sono le perdite ematiche vaginali che possono essere di modesta entità e caratterizzate da sangue rosso scuro, o più abbondante con sangue rosso vivo e coaguli. Il sintomo è particolarmente significativo quando si manifesta in donne in menopausa che sono le più colpite da questo tumore. Tuttavia la malattia può manifestarsi anche in donne in età fertile: in questo caso provoca alterazioni del ciclo mestruale che può essere più abbondante, durare più a lungo o essere irregolare.
La diagnosi viene fatta abitualmente con una biopsia (asportazione di un piccolo frammento di endometrio per esame istologico); in alcuni casi per una diagnosi certa è necessario un esame di cavità uterina (raschiamento) o un’isteroscopia diagnostica (ispezione della cavità uterina con uno strumento a fibre ottiche collegato a una telecamera).
In entrambi i tipi di tumore, prima dell’intervento chirurgico è utile una stadiazione (= insieme e dei processi e degli esami necessari a stabilire le caratteristiche del tumore) clinica sottoponendo la Paziente a un’ecotomografia addominale e una risonanza magnetica (RM) della pelvi.
La terapia delle neoplasie dell’utero prevede il ricorso alla chirurgia o, in alternativa, la distruzione della neoplasia con l’impiego dei raggi X (radioterapia). La scelta del trattamento è determinata dalla posizione del tumore, dal grado di penetrazione in profondità, dall’aspetto istologico, dall’eventuale diffusione in altre parti del corpo e dalle condizioni generali della Paziente.
Il tipo di intervento deve essere discusso con il Ginecologo di fiducia, prima del ricovero.
Sono previsti alcuni esami pre-operatori che comprendono un prelievo ematico, la radiografia del torace e l’elettrocardiogramma.
Il giorno precedente all’intervento viene eseguita una preparazione intestinale.
La Paziente deve rimanere a digiuno (né cibo, né bevande) a partire dalla mezzanotte del giorno precedente l’intervento.
Tutti gli interventi chirurgici per asportazione di un tumore dell’utero sono eseguiti in anestesia generale; prevedono l’asportazione completa dell’utero, dei suoi legamenti, delle tube e delle ovaie. In alcuni casi è necessario rimuovere anche i linfonodi circostanti.
Isterectomia vaginale assistita laparoscopicamente (LAVH)
La prima parte dell’intervento si esegue in laparoscopia con 3 o 4 piccole incisioni della parete addominale: attraverso l’ombelico viene introdotta una telecamera munita di fonte di luce e sistema di registrazione; le altre incisioni, nella parte inferiore dell’addome (al di sopra del pube), consentono il passaggio degli strumenti chirurgici.
L’intervento è completato con l’estrazione dell’utero (unitamente alle ovaie e alle tube) attraverso la vagina. La durata media è di circa 120-180 minuti. Nel corso dell’intervento l’utero sarà sottoposto a un esame istologico per definire le caratteristiche della neoplasia e il grado di penetrazione in profondità. Sulla base del referto istologico verrà deciso se asportare anche i linfonodi.
Isterectomia per via addominale (laparoisterectomia)
L’intervento prevede l’apertura della cavità addominale con un’incisione trasversale, appena sopra il pube (simile a quella praticata in caso di parto cesareo), oppure longitudinale tra l’ombelico e il pube (in caso di un utero molto voluminoso o di cicatrice pre-esistente): l’utero viene asportato completamente congiuntamente alle tube e alle ovaie.
Anche in questo caso la durata è variabile da 60 a 120 minuti.
Isterectomia radicale
L’intervento prevede l’apertura della cavità addominale con un’incisione longitudinale tra l’ombelico e il pube (solo in casi particolari può essere utilizzata un’incisione trasversale sovrapubica): l’utero viene asportato completamente insieme alle tube, alle ovaie, ai linfonodi pelvici e alla porzione superiore della vagina.
Anche in questo caso la durata è variabile da 180 a 220 minuti.
Il dolore è tenuto sotto controllo grazie alla somministrazione continua di analgesici. Trascorse alcune ore dall’intervento, la Paziente è in grado di muoversi nel letto, sedersi e bere a piccoli sorsi. La mattina seguente può alzarsi (con l’aiuto dell’infermiera di reparto) e cominciare ad assumere cibi solidi.
In sala operatoria viene posizionato un catetere vescicale (mentre la Paziente è addormentata) che viene abitualmente rimosso, a seconda del tipo di intervento, dopo 24-72 ore. In caso di isterectomia radicale, dopo la rimozione del catetere vescicale, è necessario procedere alla misurazione del residuo vescicale post-minzionale (=quantità di urina presente in vescica al termine della minzione: si esegue con cateterismo vescicale estemporaneo); la dimissione può essere programmata quando il residuo post-minzionale è inferiore a 100 ml.
La dimissione è prevista dopo tre-cinque giorni dall’operazione in caso di isterectomia addominale e LAVH, dopo quattro-sette giorni quando si tratti di isterectomia radicale.
La rimozione dei punti di sutura (per gli interventi eseguiti per via addominale) viene programmata durante le visite di controllo.
Eventuali trattamenti adiuvanti alla chirurgia (radioterapia) saranno definiti sulla base dell’esame istologico definitivo.
Al ritorno a casa è possibile camminare e salire le scale, ma senza stancarsi, fare la doccia; ricordandosi di rimuovere le medicazioni bagnate, disinfettare le ferite e coprire con nuove medicazioni.
Le Pazienti sottoposte a isterectomia radicale possono manifestare difficoltà allo svuotamento completo della vescica. Il disturbo è comunque transitorio e reversibile, ma può essere necessario, per un certo periodo di tempo, l’inserimento in vescica di un sottile catetere (autocateterismo) per completarne lo svuotamento. Se necessario, questa manovra verrà insegnata alla Paziente dal personale infermieristico prima della dimissione.
Fino alla visita di controllo è necessario astenersi dai rapporti sessuali e non devono essere usate lavande o tamponi vaginali.
Non sollevare pesi per almeno 4 settimane. Poiché la ferita e i muscoli dell’addome possono dolere, specialmente a fine giornata e dopo prolungato stazionamento in posizione eretta, è possibile attenuare il disagio utilizzando una fascia elastica, da indossare al di sopra di un indumento di cotone (per evitare l’irritazione della cicatrice).
L’opportunità di un’eventuale terapia ormonale sostitutiva deve essere discussa con il Ginecologo di fiducia.