Per Padre Luigi Cerea, aiuto spirituale in Montallegro, sono cinquant’anni di sacerdozio dedicati agli altri
Padre Luigi Cerea è ormai una presenza costante in Montallegro, sostegno e conforto per i degenti e i loro familiari, aiuto spirituale per chi lavora nella struttura. Bergamasco di origini, da tre anni è arrivato a Genova, dove opera nella Parrocchia dei Santi Nazario e Celso e San Francesco d’Albaro. Quest’anno ha festeggiato un traguardo importante: 50 anni di sacerdozio. Lo abbiamo incontrato a pochi giorni dal Natale.
– Padre, partiamo proprio dai 50 anni di sacerdozio. Un traguardo significativo.
«Festeggiare gli anniversari è piacevole, anche per la presenza delle persone care che si stringono attorno. Però il vero traguardo è rinnovare ogni giorno la propria scelta, per continuare il cammino, con sincerità e spirito di servizio».
– Com’è stato questo ultimo anno trascorso in Montallegro?
«È stato un periodo molto bello, di profonda crescita spirituale, resa possibile dalla frequentazione quotidiana con i malati, da cui imparo ogni giorno. Ogni malato mi mostra il suo cuore, anche nei momenti più difficili. E questo mi riempie di grazia. Anche poter officiare la Messa in struttura, con i medici e pazienti, è una grazia di Dio, perché nella Messa e nella preghiera si condividono gli affanni e le gioie».
– Tra gli eventi di questo anno, la visita del Monsignor Tasca in Montallegro ha avuto un’importanza particolare. Qual è stato il significato di questa visita?
«La visita del Monsignor Tasca ha rappresentato un momento di grande significato per Montallegro. È stata un’occasione per portare il saluto del pastore alle persone più fragili, ai malati. Il suo arrivo è stato un momento di vera comunione, di “vita familiare”. Non si è trattato solo di una visita formale, ma di un’esperienza di aggregazione in cui l’apostolato si è fuso con la missione di cura e di conforto. Molti hanno avuto l’occasione di ricevere la sua benedizione, una circostanza particolarmente sentita per alcuni, come una signora che ha espresso la sua gratitudine per aver avuto questa opportunità per la prima volta nella vita».
– A livello globale, è stato un anno segnato dai conflitti. Come possiamo vivere il presente?
«In un contesto così difficile, la preghiera assume un’importanza cruciale. Credo che la pace debba riflettersi innanzitutto nel nostro impegno verso i più bisognosi: i malati, i poveri, i carcerati. È entrando in contatto con la loro sofferenza che possiamo comprendere appieno il vero significato del Natale, così come ci ricorda la figura di Gesù bambino, simbolo di fragilità e speranza. Di fronte alla fragilità dei più piccoli, la guerra non ha alcuna giustificazione».
– Il Natale è alle porte. Quale riflessione vuole condividere?
«Questo Natale ci invita a riflettere sul valore della preghiera condivisa, nell’anno che si apre con il Giubileo e in questo anno del Sinodo. Come ogni goccia contribuisce a formare l’oceano, ogni nostra preghiera, per quanto piccola possa sembrare, è fondamentale per alimentare la fede e la speranza collettiva. Dobbiamo superare divisioni e individualismi, ricordando che ognuno prega secondo le proprie capacità. Il Natale deve essere un momento di introspezione e di condivisione, un’opportunità per riscoprire la bellezza di trovare Gesù bambino e per vivere il concetto di unità».
– C’è un passo che le sta particolarmente a cuore in questo periodo?
«”Quando due o più si mettono insieme a pregare, io sono in mezzo a loro”. Questo versetto, tratto dal Vangelo, è il messaggio che Gesù bambino ci porta a Natale, ricordandoci l’importanza di unirci nella preghiera e nella fede».