I baci di Doisneau
Massimiliano Lussana ci racconta la mostra dedicata al fotografo francese, che si è conclusa al Palazzo della Meridiana
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Si può vedere una mostra e innamorarsi?
Sì, si può se la mostra è “Non solo un bacio S’Il Vous plaît. La poesia fotografica di Doisneau“, l’ultimo appuntamento dei “Mercoledì (e non solo) della cultura” di Villa Montallegro, voluti da Francesco Berti Riboli, un ciclo “al bacio”. E mai espressione fu più adatta a raccontare questa storia.
Si parte da un bacio, quello che abbiamo visto in questi mesi in giro per Genova per raccontare la mostra di Palazzo della Meridiana dedicata a Robert Doisneau. Per la precisione “Le baiser de l’Hôtel de Ville”, una delle immagini più celebri dell’iconografia sui baci, ma a mio parere è solo la punta di un iceberg di una mostra che ho trovato davvero bellissima.
Non ci si ferma al valore fotografico della mostra, ma anche in un vero e proprio giro di Parigi in ottanta fotografie, che permette quasi di “respirare” i profumi e i sapori di Parigi e dei parigini, comprese le fornaie che dicono con sufficienza “ensuite” ai clienti meno eleganti, riservando il loro preziosissimo “bonjour madame” solo alle signore più fascinose ed eleganti. Per carità, fossimo a Roma alle stesse sarebbero giustamente riservate passatoie rosse di velluto e le stesse si prenderebbero gioiose botte di “dottoressa” persino al momento di ordinare mezz’etto di pizza bianca, ma si sa, i parigini sono i parigini.
Eppure, la mostra di Doisneau è un modo perfetto di conoscere la capitale francese e i suoi abitanti, presentandoli sotto una veste che mette insieme varie caratteristiche, dal romanticismo all’ironia, dal fascino della Ville Lumière alla personalità dei protagonisti di queste storie, che emerge dalle fotografie, come se Doisneau fosse riuscito a rubare l’anima ai soggetti che fotografava.
E così potrei anche raccontarvele tutte e ottanta, ciascuna con il suo racconto di storie, a partire da quelle dei bambini che sono una caratteristica peculiare dello sguardo del fotografo francese che, qualche volta, sembra proprio uno di loro, un eterno bambino. Penso, ad esempio, alle immagini degli alunni sui banchi di scuola che attendono con ansia la ricreazione o del ragazzino più monello il cui sguardo è messo a confronto con quello che è chiaramente un secchione e i due sono quasi un gioco di luci ed ombre, non solo nel bianco e nero della fotografia, ma anche nei caratteri.
Un’altra foto bellissima, che racconta proprio una caratteristica parigina è quella dei bimbi che attraversano la strada, ma lo fanno tirandosi per la maglia, un po’ come quando Pablo Montero nella Juventus di Moggi si aggrappava alle magliette degli attaccanti avversari, ma il conseguente rigore non veniva praticamente mai fischiato, così come il cartellino rosso era un’ipotesi, un caso di daltonismo cronico.
Perché, vedete, il bello di questa mostra è proprio fotografare in pieno la vita quotidiana di Parigi, quella che può raccontare bene solo chi ha vissuto la capitale francese, dall’identificazione di una persona che nasce dalla domanda: «In che arrondissement vivi?» e, a seconda della risposta, che è un numero, a volte secco, si capisce immediatamente con chi si ha a che fare, quali sono le sue caratteristiche sociali, culturali, in qualche modo antropologiche.
Tutto questo si respira perfettamente dalle fotografie e, a tratti, ti aspetteresti di vedere spuntare una polizza assicurativa che spiega che, quando si imbocca l’Arco di Trionfo, in una sorta di roulette russa degli incidenti, scatta un accordo fra compagnie che prevede che ognuno si paghi le proprie spese, essendo troppo complicato individuare i responsabili degli incidenti. Insomma, per guidare lì ci vuole un fisico bestiale. E, effettivamente, tutti coloro che conosco che passavano regolarmente di lì ce l’hanno.
E poi baci bellissimi, ancora più significativi di quello sui manifesti. Per quanto ne esempio quello che si danno due innamorati su un carretto-bicicletta, splendido che sembra uno di quelli che si incontrano ancor oggi nel Sud Italia, con lei che sbuca con il grembiule da uno degli sportelli del ghiaccio.
Oppure, ancora, il bacio che si scambiano due innamorati in corsa. Ed è vero che la fotografia è venuta mossa, ma è splendidamente mossa, come se ci fosse una legge della fisica per cui lo scatto viene meglio con la velocità e la passione dei due innamorati, che si somma alla legge della chimica che si legge nei loro sguardi e nelle loro labbra.
Ecco, dalla mostra di Doisneau emerge una sorta di legge universale dell’amore, per cui l’intesa fra due persone nasce dall’intensità del loro bacio, dal modo in cui si incrociano e quasi si mangiano reciprocamente le labbra, anche intuendo le lingue che si sfiorano e si assaggiano.
Poi, per l’appunto, c’è l’ironia, che è una straordinaria chiave di lettura per leggere le fotografie della mostra, come una intitolata “Lo sguardo obliquo”. Piccola parentesi: ovviamente tutti i titoli e le frasi sono tradotte dal francese, che è la lingua ufficiale di Doisneau e della mostra, esattamente come lo è di Roland Garros, dove la parità, deuce nel resto del mondo, è chiamata dai giudici di sedia “egalitè” e il tie break ha l’appellativo di “jeu decisif”.
Insomma in questo sguardo obliquo c’è una figura procace all’interno di una vetrina dove sono esposti anche i “normali” prodotti. Una coppia di sposi di mezza età passa davanti al negozio ed è bellissimo seguire il gioco degli sguardi dei due. La signora, come tutte le signore, guarda la vetrina. Lui, quasi di sottecchi, ovviamente guarda il resto della mercanzia. E il fotografo lo coglie perfettamente, in una fotografia che è un intero romanzo, quasi la filmografia completa di Pietro Germi.
E poi ci sono immagini come quello del portone a forma di mostro, che sembra preso pari pari da Bomarzo, ma anziché con i sapori etruschi e della Tuscia della provincia di Viterbo, quindi con profumi della gita fuori porta, con i colori del bianco e nero parigino, splendido ossimoro.
Oppure le foto di gruppo, come cori di tragedie greche o di opere liriche. Ma opere magari non buffe, ma comunque contraddistinte sempre da un sorriso, da uno sguardo obliquo anch’esso.
Dal piacere di un bacio.
Sul manifesto, sui pannelli delle foto e anche all’uscita, perché è impossibile non cercare le labbra di chi ami quando esci da questa mostra.
E saranno baci con il sorriso.