L’umanità e la competenza: la lezione del professor Mattioli
Girolamo Mattioli - Direttore UOC Chirurgia pediatrica presso IRCCS Gaslini di Genova – racconta i suoi anni come Medico di guardia in Montallegro
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Girolamo Mattioli, Direttore UOC Chirurgia pediatrica presso IRCCS Gaslini di Genova e Professore associato di Chirurgia pediatrica Università di Genova, di cui è Direttore della scuola di specializzazione, ripercorre la sua esperienza come Medico di guardia in Montallegro, un periodo formativo che ha lasciato un segno nel suo percorso professionale.
«Durante i miei quasi dieci anni di collaborazione come Medico di guardia in Montallegro, dai primi passi della mia carriera professionale fino alla fine degli anni ’90, ho consolidato la mia formazione in medicina generale, affrontando un’ampia varietà di casi clinici. Ho avuto l’opportunità di assistere pazienti complessi, sviluppando competenze soprattutto in urologia e chirurgia dell’adulto, e di imparare da professionisti di spicco. Ritengo che questi anni abbiano avuto un valore inestimabile, poiché l’esperienza ospedaliera tende invece all’iper-specializzazione. Guardo quindi con grande soddisfazione a quel periodo della mia carriera».
Ma quali sono le caratteristiche fondamentali per un buon Medico di guardia? Il professor Mattioli non ha dubbi: «A volte si ritiene l’empatia con il paziente come l’elemento chiave. Io credo che prima di tutto debba venire la competenza. Un Medico di guardia deve saper discernere la gravità di una situazione per allertare tempestivamente gli specialisti, distinguendo tra timori infondati e reali emergenze cliniche».
Il rapporto umano con il paziente resta però un valore essenziale. «Chi viene in una clinica privata pretende non solo la sostanza, ma anche la forma, e credo che sia molto importante rapportarsi con i pazienti nel modo più corretto possibile, non solo tecnico, ma anche umano».
Nel ripercorrere la sua esperienza, il professor Mattioli ricorda due insegnamenti significativi: «Fare il Medico di guardia mi ha insegnato che bisogna rianimare chiunque. Non selezionare mai, perché non sai chi hai davanti, non è un tuo paziente. Quindi, che sia un paziente terminale o un paziente neoplastico, tu, fino a prova contraria, rianimi e poi sarà qualcun altro a dire “basta”». E il secondo: «Essere sempre disponibili. Io passavo settimane intere dentro la Montallegro. Entravo il venerdì pomeriggio e uscivo il lunedì di 10 giorni dopo, trascorsi tra ospedale e Montallegro, Montallegro e ospedale. Questo mi ha insegnato che prima vengono i pazienti e il lavoro, poi tutto il resto. Il nostro mestiere non può avere orari».
Come armonizzare allora professione e vita privata? «Quando ci si occupa di un paziente chirurgico, non si può parlare di tempo che si dedica al paziente, ma di necessità. Il tempo è subordinato alle necessità, cosa che al giorno d’oggi è difficile accettare, ma il tempo necessario non è definibile». E con una nota di autoironia, conclude: «Questo può incidere molto sulla vita familiare, e devo ammettere di far parte dei soci fondatori dei fallimenti delle famiglie. Non sarò un modello esemplare, ma penso di essere un buon medico».
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