Una colonscopia eseguita di routine, su un paziente totalmente asintomatico, ha permesso di individuare un carcinoma allo stato iniziale che, se trascurato, avrebbe potuto avere conseguenze drammatiche. È la storia di molti pazienti che hanno scelto di seguire un percorso di prevenzione per prendersi cura della propria salute. È la storia anche di Enrico “Chicco” Franchini, manager genovese, che ci racconta la sua esperienza. Ancor più significativa se inquadrata nel calendario, poiché marzo è il mese dedicato alla prevenzione del tumore del colon-retto.

«Tutto è nato quasi per gioco, perché ho fatto una scommessa con degli amici e ho aggiunto alla mia lista di check-up annuali una colonscopia, non prevista all’inizio. Mi sono trovato a fare un esame mai svolto in precedenza. Ho eseguito la preparazione come mi era stato prescritto e, al risveglio dall’anestesia, il dottore ha voluto vedermi. Da lì è iniziato un viaggio totalmente inaspettato: da quello che doveva essere un check-up di routine, mi è stato diagnosticato un carcinoma al colon. Nel giro di sette giorni, dalla vita normale mi sono trovato in sala operatoria per un’operazione seria, poiché le dimensioni del carcinoma erano molto grandi e rilevanti».

– Se non avesse fatto quella scommessa con gli amici, cosa sarebbe potuto succedere?
«Mi è stato detto che, se avessi aspettato sei mesi, avrei potuto essere nel regno dei più. La fortuna, o il buon Dio, mi ha consentito di agire velocemente e di prendere la cosa in tempo».

– Si è reso conto di quanto la prevenzione abbia permesso di salvarle la vita?
«Certo. Ho sempre fatto prevenzione per tutto ciò che ritenevo giusto prevenire, ma non per qualcosa che è tabulato dai protocolli medici e che non avevo minimamente considerato, perché non avevo alcun sintomo. Invece, il segreto della prevenzione è proprio fare analisi quando tutto va bene, non quando si hanno già sintomi. Questo è il punto».

– Quale dei valori di Montallegro ha risuonato per lei e ha determinato la scelta della struttura?
«Ogni volta che ho avuto a che fare con Montallegro, sono sempre riuscito a stabilire un rapporto personale con il personale sanitario. Quando mi trovo in una situazione critica, la prima cosa che mi chiedo è: “Dove sto bene quando sto male?”. La risposta è il mio letto. Montallegro rappresenta quel mio letto esterno, mi offre quella tranquillità necessaria quando sono in una situazione di disagio di salute».

– Quali aspetti del servizio l’hanno più colpita?
«La degenza è stata straordinaria. Una notte ho avuto un brutto episodio di svenimento e mi sono trovato assistito in tutto e per tutto. La risposta professionale a un evento che esulava dai normali protocolli di una degenza è stata immediata, professionale e rassicurante, anche dal punto di vista psicologico. Ero svenuto a terra e avevo preso un colpo alla testa. L’intervento è stato sulla persona, non solo sull’aspetto medico».

-C’è un aspetto particolare dell’umanizzazione della cura che l’ha particolarmente colpita?
«Ho sentito quasi una coccola. Conoscendo molti del personale di Montallegro, a partire da Francesco Berti Riboli, a cui mi lega un’amicizia profonda, avevo sempre qualcuno che passava a trovarmi e sono riuscito a vivere l’esperienza serenamente. Ma la stessa cosa l’ho vista nel mio vicino di stanza».

– Ha un suggerimento per migliorare la gestione complessiva del paziente?
«Migliorerei la procedura di check-in. È l’unico punto dove, a mio parere, si può fare meglio. Ogni volta che entro a Montallegro e fornisco un documento, dovrei già essere registrato. Non dovrebbe essere necessario ricompilare i moduli. È un aspetto burocratico che stona con la perfezione dell’esperienza successiva».

– Un’ultima domanda. Ha offerto una cena a quegli amici con cui aveva scommesso sulla colonscopia?
« Sì, se la meritavano!»