È arrivata in Montallegro nel 2004. In questi vent’anni (e più) Deborah Biagioli è diventata la coordinatrice infermieristica della struttura. Un’attività che svolge con dedizione e professionalità, gestendo oggi un team di quasi 100 professionisti, tra infermieri, operatori socio-sanitari (OSS), barellieri e ausiliari, suddivisi tra reparti di degenza, blocchi operatori e terapia intensiva. La sua esperienza offre una prospettiva privilegiata su Montallegro e sui valori che guidano l’assistenza al paziente.

– Può descrivere il suo percorso professionale in Montallegro, dal primo giorno a oggi?
«Sono giunta a Montallegro nel 2004, forte di un’esperienza pregressa nelle rianimazioni del 118 di Bologna. Quando mi sono trasferita a Genova, ho scelto di proseguire il mio cammino professionale nel privato, in una realtà come Montallegro, che sentivo più affine alle mie aspirazioni. Questa decisione si è rivelata la migliore, offrendomi continue opportunità di apprendimento e una crescita professionale significativa, culminata nel mio attuale ruolo di coordinatrice infermieristica. Montallegro ha rappresentato e continua a essere per me un ambiente meritocratico, ricco di stimoli grazie alla collaborazione con professionisti di diverse discipline chirurgiche e mediche».

– Quali sono i valori e le caratteristiche fondamentali per un infermiere? Ritiene che nel contesto privato vi siano ulteriori qualità richieste?
«La professionalità è la base, tanto nel pubblico quanto nel privato. Nel contesto privato ritengo fondamentale una maggiore enfasi sul lato umano della professione. Abbiamo la possibilità di dedicare più attenzione alla persona nella sua interezza, considerando anche il suo contesto familiare e sociale. Questo approccio empatico, unito alla professionalità e alla cortesia del nostro personale, ci consente di rispondere in modo più completo alle esigenze dei pazienti. La possibilità di seguire i pazienti nel tempo, talvolta con cure domiciliari, crea un legame umano significativo».

– Come si è trasformato il ruolo dell’infermiere nel corso degli anni, in termini di competenze e pratiche assistenziali?
«Il nostro ruolo è evoluto profondamente con la tecnologia e le nuove strumentazioni – anche informatiche – richiedendo nuove competenze nella gestione di terapie e percorsi riabilitativi. Per esempio, i tempi di degenza si sono ridotti significativamente: un intervento di protesi d’anca un tempo richiedeva quindici-venti giorni di ricovero, ora ne richiede meno della metà. Una volta, i pazienti dopo l’impianto di una protesi d’anca o di ginocchio, venivano verticalizzati (= mettere in piedi) dopo due o tre giorni, oggi il giorno stesso dell’intervento. Questo impone anche a noi un aggiornamento continuo e la capacità di seguire protocolli medici in rapida evoluzione. Lavorare in un contesto multidisciplinare come Montallegro offre l’opportunità di confrontarsi con diverse specialità e approcci, arricchendo il bagaglio professionale».

– C’è un episodio in particolare, legato al suo ruolo di infermiera di guardia, che ricorda con piacere?
«Un ricordo particolarmente caro è legato alla carriera professionale di alcuni colleghi medici. Ho avuto modo di lavorare al fianco di giovani medici di guardia che, nel corso degli anni, sono diventati affermati specialisti e primari. Ritrovarci oggi e rievocare le esperienze condivise durante le notti di guardia, le urgenze affrontate insieme, crea un forte senso di appartenenza a un percorso professionale condiviso».

– La pandemia da Covid-19 ha rappresentato una sfida senza precedenti per il sistema sanitario. Come ha vissuto Montallegro quel periodo?
«Dopo i primissimi giorni di grande incertezza, che hanno interessato tutte le strutture, Montallegro ha affrontato la pandemia con misure preventive rigorose, tra cui lo screening all’ingresso, che ci ha permesso di non avere pazienti positivi, eventualità che ne imponeva il trasferimento in ospedale. Non ci sono mai mancati tutti i dispositivi di protezione necessari. Abbiamo lavorato con grande impegno e coesione, supportando anche le strutture ospedaliere sovraccariche di pazienti, con la gestione dei loro pazienti i cui interventi chirurgici erano stati rimandati. Il forte spirito di squadra e la determinazione di tutto il personale sanitario hanno permesso di superare quei mesi drammatici. Siamo stati una squadra, abbiamo faticato tantissimo, ma eravamo tutti molto motivati».

– C’è un ricordo particolare legato a quel periodo?
«Sì, Montallegro è stata parte attiva della campagna vaccinale per un periodo significativo, prima al grande hub vaccinale allestito alla Fiera del Mare, successivamente al Teatro della Gioventù. Ricordo il giorno in cui siamo partiti, avevamo 11 postazioni aperte di medici che vaccinavano e altrettanti infermieri che preparavano le dosi del vaccino. Quando ho avuto quelle boccette in mano per la prima volta, mi sono detta “È veramente un giorno importante”. La consapevolezza di contribuire in modo concreto alla protezione della salute della comunità è un ricordo indelebile. Vaccinavamo anche fino alle due di notte, con 300-400 persone in coda. È stata un’iniziativa voluta dalla direzione e condivisa da tutto il personale».

– Qual è stata la sua più grande soddisfazione professionale maturata in Montallegro?
«La soddisfazione più grande deriva dal rapporto quotidiano con i pazienti. Ma ricordo con particolare emozione la storia di una giovane paziente che, dopo aver superato un tumore al seno e completato le terapie, è riuscita a diventare madre. Ricevere la foto del suo bambino è stata una delle gioie più profonde della mia carriera».

– A livello personale, immagino sia motivo di grande orgoglio anche la carriera sportiva di sua figlia, Dafne Bettini, atleta del Setterosa di pallanuoto.
«Certamente, sono immensamente orgogliosa dei successi di mia figlia. Vederla partecipare alle Olimpiadi di Parigi è stata un’emozione indescrivibile. Conosco i sacrifici che ha fatto per raggiungere questi traguardi. Attualmente gioca a Catania e, come dico sempre – anche a lei – il lavoro dura premia. Sempre».