Alla scoperta del Museo del Tesoro di San Lorenzo
Il giornalista Massimiliano Lussana ci guida all'interno della cripta della Cattedrale di San Lorenzo, per scoprire i tesori custoditi nel Museo, a partire dal Sacro Catino
Genovese per caso
Chi trova Villa Montallegro e chi trova i “Mercoledì (e non solo) della cultura” trova un tesoro. Per la precisione, il Museo del Tesoro di San Lorenzo. Che è il posto dove la leggenda vuole sia custodito il Santo Graal, cioè un oggetto al centro delle Crociate, della storia del mondo, dei romanzi esoterici e dai film tratti da quelle storie.
Eppure, la stragrande maggioranza dei genovesi – certamente non quelli che partecipano ai “Mercoledì della cultura” – non lo sanno. E qui i casi sono due: o c’è uno scrupolo filologico e può starci perché non c’è la certezza matematica che il Catino sia davvero il Graal e la nostra guida, onestissima, ce lo dice. Oppure, più probabilmente, c’è una genovesità un po’ eccessiva, come quelli che hanno in salotto un Van Gogh o un Caravaggio (ora esagero, ma il concetto è quello) e non lo fanno vedere nemmeno agli amici, “perché maniman che poi se ne parla….”:
Ecco, col Sacro Catino un po’ va così e su questa riservatezza, anche eccessiva, dei genovesi in merito a questo splendido e conservato benissimo oggetto verde, c’è addirittura un apposito brano di uno spettacolo dei Bruciabaracche, sacro testo della comicità genovese.
Quindi, anche il nostro ritrovo – come sempre perfettamente organizzato da Cecilia Fiorentini, che è una specie di radar delle presenza – sembra quasi di quelli paleocristiani: tutti davanti alla Cattedrale e poi in fila indiana arriviamo ai sotterranei medievali, cioè la cripta della Cattedrale di San Lorenzo.
Torniamo un’altra volta a un precedente appuntamento con i Mercoledì di Villa Montallegro, quello a Palazzo Rosso. Perché, qui come lì, convivono la modernità di Franco Albini e la grande storia.
In qualche modo è come se l’allestimento fosse esso stesso un ulteriore tassello della visita, come se il contesto fosse un elemento integrante del testo, anzi un sottotesto. E, qui, dopo che ho saccheggiato l’opera omnia di Umberto Eco e i suoi insegnamenti semantici, possiamo entrare nella cripta, passando a Dan Brown.
Recitano le guide ufficiali per i turisti che “la rivisitazione degli spazi operata dall’intervento architettonico di Franco Albini nel 1956 rende quello del Tesoro della Cattedrale di Genova un celebre esempio di museografia moderna. Lo spazio, di grande suggestione, si offre come un vero e proprio scrigno di opere di oreficeria e argenteria di epoca medioevale, rinascimentale e barocca”.
Il gioco è quello degli spazi geometrici ed esagonali che racchiudono il museo vero e proprio, che poi non è nemmeno un vero museo in senso tradizionale, ma quasi un contenitore di oggetti, una vetrina di una boutique della storia più importante in cui gli oggetti possono essere suddivisi in tre tipologie: le reliquie e i loro contenitori, ovvero i reliquiari; gli oggetti e le opere connessi alla venerazione nei confronti di san Giovanni Battista, proclamato patrono di Genova nel 1327, e gli arredi liturgici realizzati o donati alla cattedrale nel corso dei secoli e funzionali alle più importanti celebrazioni del culto.
Vederli con la guida di Villa Montallegro è un’emozione ulteriore, perché a tratti sembra di essere capitati in una delle mostre di arte contemporanea care a Francesco Berti Riboli e la pietra che cambia colore – a seconda dell’illuminazione – è una cosa che già fa capire che siamo in una situazione un po’ magica, nel senso più ampio che la parola sa avere.
E poi ci sono oggetti religiosi sbalzati, dove le simbologie sono moltissime e per esempio c’è l’Arca processionale del Corpus Domini con le ceneri di San Giovanni Battista.
Ma, ovviamente, arriviamo alla star, che è il Sacro Catino.
Prima ancora di raccontare la leggenda, ci sono le storie legate al restauro e ai rischi connessi allo smantellamento dell’intelaiatura che lo custodiva. Storie quasi incredibili se si considera che, ai tempi di Albini venne portato in giro dall’allora conservatrice del Museo in una busta come quelle del supermercato con una sorta di “bolla di accompagnamento” e senza particolari imballaggi, come se fosse uno di quei piatti dai nomi scandinavi che si comprano all’Ikea. Ma senza nemmeno l’indispensabile kit delle viti, le istruzioni per il montaggio e la soddisfazione di ordinare le classiche polpette svedesi di carne con salsa alla panna alla fine del giro alla ricerca del Sacro Catino.
Insomma, sopravvissuto a tutto questo, il piatto, considerato per secoli di smeraldo, è stato realizzato in realtà colando del vetro colorato in verde in uno stampo di forma esagonale. E qui torniamo per l’appunto all’onnipresente esagono.
Per tradizione, il Catino è ritenuto il Santo Graal, cioè il piatto usato da Gesù Cristo per consumare l’agnello pasquale con i discepoli durante l’ultima cena.
In realtà – spiegano le guide – “si tratta di un manufatto prodotto nell’antica Siria, più credibilmente intorno al primo secolo dopo Cristo (ma la sua datazione è discussa) e secondo la maggior parte delle fonti è stato portato a Genova da Guglielmo Embriaco di ritorno dalla conquista di Cesarea nel 1101, ovvero nel periodo della prima Crociata. Nel passato la preziosa reliquia era mostrata in Cattedrale soltanto il primo giorno di Quaresima”.
E, ovviamente – e anche qui c’è una sorta di andamento circolare con precedenti “Mercoledì della cultura” di Villa Montallegro – appare Napoleone fra i protagonisti della storia. L’altra volta era successo con lo scippo della Bibbia Atlantica da parte delle truppe francesi, figuriamoci se poteva mancare con il Graal, vero o presunto che fosse.
E quindi rieccoci alle solite: “Agli inizi del XIX secolo Napoleone lo fece portare a Parigi, dove venne esaminato scoprendone così la natura vitrea e, probabilmente durante il viaggio di ritorno, nella tratta tra Parigi e Torino, andò rotto”. Probabilmente, la sportina era meno adatta di quella utilizzata per il successivo viaggio che vi ho raccontato.
Ma, scherzi a parte, è un po’ tutta la storia che ci racconta moltissimo di Genova. E soprattutto di questo angolo di Genova che si affaccia su piazza san Lorenzo. Pensate alla possibilità, nell’arco di pochi metri, di ammirare il Graal o comunque ciò che di più vicino pare esserci al Graal e poi di assistere magari a “La congiura del Fiesco a Genova” di Schiller, che venne allestita proprio qui, nei luoghi e nei tempi della storia reale.
E poi, per chi avesse voglia di allungare verso piazza Matteotti c’è pure il Rubens della chiesa del Gesù…
Così, per dire cos’è Genova in cento metri.
© ph: Sylvain Billet – Picture of Sacro Catino (Cattedrale di San Lorenzo, Italia) – Wikipedia