La mostra sarà visitabile fino al 7 aprile 2024 a Palazzo Ducale, alla Loggia degli Abati e a Casa Luzzati
Ci sarebbe da raccontare la ripresa dei “Mercoledì (e non solo) della cultura” di Villa Montallegro dopo le vacanze, ma la verità è che non sono mai andati in vacanza: ci sono state le giornate in trasferta nell’Oltregiogo, con tanto di caccia al tesoro personalizzata sui territori. E poi il cuore messo in “Book Pride”, la tre giorni della fiera italiana dell’editoria indipendente, giunta alla quinta edizione e mai così importante come quest’anno con Genova capitale italiana del libro.
E ancora il sostegno all’esposizione gratuita nella Sala Chierici della Berio della guest star dell’edizione autunnale dei Rolli Days: l’Offiziolo Durazzo che ha richiamato migliaia di visitatori, curiosi di ammirarlo sia nella sua splendida legatura in argento cesellato e rubini sia nelle sue pagine interne, tutte tinte di porpora e miniate interamente in oro. Un capolavoro della miniatura rinascimentale che era stato esposto al pubblico l’ultima volta nel 1969 e prende il nome del suo ultimo proprietario, Marcello Luigi Durazzo, che lo donò alla Biblioteca Berio nel 1847. È una raccolta di salmi e preghiere (uffici) da recitare nelle ore canoniche della giornata, da cui la definizione di “libro d’ore”.
Insomma, Montallegro e cultura sono praticamente un’endiadi, un’espressione che va letta tutta insieme, ma se possibile l’appuntamento di mercoledì con la visita guidata alla mostra “Calvino Cantafavole” in corso fino al 7 aprile 2024 a Palazzo Ducale, alla Loggia degli Abati e a Casa Luzzati, è di quelli che più di tutti hanno avuto un valore aggiunto dal sapore di Villa Montallegro e quindi dalla visita guidata.
Perché “Calvino Cantafavole” è quasi il secondo tempo di “Favoloso Calvino”, la mostra che è in corso contemporaneamente a quella di Genova a Roma alle Scuderie del Quirinale e che è stata visitata alla sua apertura anche dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella insieme al presidente di Regione Liguria Giovanni Toti, ripetendo lo schema che era già stato sperimentato con il progetto “Superbarocco”, in cui Genova, Palazzo Ducale e Roma, Scuderie del Quirinale sono state per qualche mese lo stesso posto, superando ogni barriera spaziotemporale.
Però, ovviamente, una mostra dedicata a uno scrittore, sia pure visionario, non è di immediata comprensione. Un quadro lo guardi e ti piace o no, ma uno scrittore lo leggi ed è chiaro che leggerlo in una mostra non è semplicissimo.
Però, complice una guida di Laigueglia davvero appassionata e coinvolgente, ne è uscito un grande mercoledì e una grande cultura che ha trasformato quelli che potrebbero sembrare oggetti, libri, immagini e video affastellati in uno splendido percorso.
Che, come sempre in “Genovese, per caso” provo a raccontarvi trasferendovi le emozioni, festeggiando anche il record di adesioni ai vari gruppi di visita arrivati sulla mail di Francesco Berti Riboli, con il suo leggendario inchiostro verde diventato smeraldo.
Insomma, siamo partiti dal racconto dell’orto di Calvino – evidentemente un ottimo stimolo nel Ponente ligure che mi ha riportato alla memoria lo splendido “Elogio del pomodoro” di Cervo Ligure firmato da Pietro Citati, uno dei più bei libri che abbia letto negli ultimi anni – decisivo per capire la weltanschauung come dicono quelli che parlano bene, dello scrittore sanremese.
E quindi l’orto, e quindi le coltivazioni, e quindi il padre che lo svegliava tutti i giorni alle quattro e mezza per raccogliere frutta e verdura, e quindi l’iscrizione ad agraria, che non sembrerebbe il primo posto a cui si pensa per uno dei maggiori scrittori italiani del Novecento.
E ancora due intere sale dedicate all’amore di Calvino per l’infanzia e per il mondo delle favole, con anche la sua passione per “Viperetta” di Antonio Rubino, ma stiano tranquilli i tifosi blucerchiati, perché è solo un omonimo. E campeggia a fianco di una seggiolina di legno colorata che diventa essa stessa personaggio, alle figure dei libri per bambini e soprattutto del “Corriere dei piccoli”. E il mondo della fiaba, oltre ovviamente ai libri di Calvino, trionfa anche al bookshop, che è quasi una definizione di aderenza a ciò che si vede in mostra, al suo spirito. A tratti, come fosse una sala aggiuntiva, una delle migliori.
E tutto questo riporta a ciò che Calvino ha scritto: il barone rampante sull’albero è il giardino di villa Meridiana, la città mai citata è chiaramente Sanremo, quella industriale ovviamente Torino dove Italo va a lavorare alla Einaudi.
In tutto questo, i libri della casa editrice dello Struzzo sono i più presenti nelle sale, ma alternati a presenze completamente diverse e più inattese: tanti numeri de “Il Vittorioso” che ha fatto sognare una generazione di ragazzi, ma anche il “Libro della quinta classe elementare” e il “Libro per la quinta classe dei centri urbani” (si tenga conto che è pubblicato nel 1942), ma anche la collezione de “Il politecnico” di Elio Vittorini, i manifesti del Piccolo con le opere di Bertolt Brecht rilette da Giorgio Strehler e l’Adelchi di Vittorio Gassmann, quasi una risposta a quello di Carmelo Bene. Con osservazioni sul fatto che, ancora nel 1955, i due terzi degli italiani parlavano esclusivamente dialetto e non la lingua italiana, che poi si è diffusa grazie alla televisione, alla Rai e al maestro Manzi.
Ma – in questa mostra molto disordinata e affascinante proprio perché completamente disorganica e un po’ folle, senza un percorso bene definito, ma che lascia il percorso proprio al visitatore – non mancano i riferimenti, anche visivi, alla musica: Calvino scrisse anche una canzone, “Sul verde fiume Po”, per Cantafavole, che era una diretta emanazione del gruppo dei Cantacronache, il primo esempio di canzone politica in Italia. Poi, un capolavoro è un’altra cosa, ma questo è il racconto della mostra, non la hit parade. Si ricorda l’amicizia di Calvino con Virgilio Savona e Lucia Mannucci, cioè metà del Quartetto Cetra, ma anche con Luciano Berio, cioè il compositore più difficile da capire per chi ama il pop e la sala dei tarocchi – meraviglia di Finalborgo – con i libri di Franco Maria Ricci, ma anche le tele di Lele Luzzati che riportano all’ultimo tour di Fabrizio De Andrè, con Luvi e Cristiano sul palco insieme a lui, e il video del concerto al Teatro Brancaccio di Roma con l’organizzazione di Adele Di Palma e per l’appunto le immagini di Luzzati, i giganteschi personaggi delle carte che poi avevano il loro trionfo in “Volta la carta”.
Si dirà: non c’è mostra senza quadri. Eccoli: Enrico Baj con la sua follia programmatica, uno splendido Massimo Campigli, “Teatro con attrici”, i teatrini, e poi la sala del “Genius loci”, tutta dedicata alla Liguria: il lido di Albaro con le tende, Rubaldo Merello con i suoi quadri fatti di puntini di colore, e Eso Peluzzi, il cantore della Valbormida che, se non ci vai, non scopri quanto è bella.
Insomma, questa mostra, una roba strana.
Ma l’unico modo di raccontare uno scrittore: con le suggestioni.
A “X Factor” direbbero che – soprattutto con la guida – arrivano tutte.