Storie di chirurghi. I grandi specialisti che operano in Montallegro si raccontano
«Chirurgia della mano: ecco la mia vocazione». Intervista a Mario Igor Rossello
Dall'incontro con Renzo Mantero, al futuro della chirurgia della mano, caratterizzato dalle nuove tecnologie
Un episodio significativo in famiglia, l’incontro con un grande chirurgo come Renzo Mantero, i prestigiosi risultati raggiunti sul campo. Mario Igor Rossello (vedi scheda), chirurgo e ortopedico della mano, racconta per il magazine di Montallegro la sua carriera medica e le prospettive più interessanti che stanno riguardando la sua specialità, caratterizzate dalle nuove tecnologie, come la realtà virtuale e l’intelligenza artificiale.
– Quale professione voleva fare da bambino?
«Il meccanico di auto o moto da corsa, ho sempre avuto le mani abili, caratteristica peraltro di molti membri della mia famiglia (non di mio padre!)».
– La sua famiglia di origine le è stata di aiuto, ha agevolato il suo impegno?
«Nessun membro della mia famiglia è stato un medico, mio padre è stato uno dei manager d’industria italiani più famosi, ai suoi tempi, non ha mai condizionato le mie scelte ma mi ha supportato in tutto il percorso formativo, in Italia e all’estero».
– Quando si è iscritto a Medicina aveva già un progetto professionale?
«Sì, decisamente fare il chirurgo, in qualche modo ricordando la mia inclinazione giovanile al lavoro “di fino”, l’abilità manuale, l’istinto a trovare il modo di riparare le cose».
– Come ha scelto la sua specializzazione e perché? C’è stato un suo maestro, oppure un episodio, che ha influito su questa scelta?
«È una storia interessante: mio fratello minore a 6 anni di età ebbe la mano trafitta da una punta di un cancello, dopo un disastroso intervento iniziale fu rioperato dal professor Mantero che salvò quella piccola mano. L’episodio è sempre stato ricordato in famiglia come una sorta di miracolo, grazie alle capacità di quel chirurgo, Molti anni dopo, nell’estate del 5° anno di Università, mentre frequentavo con poca soddisfazione come studente “interno” uno dei reparti di Chirurgia universitari, mio padre, ebbe l’idea di mandarmi dal professor Mantero allora primario della Chirurgia generale a Savona e divenuto già allora notissimo per la sua professionalità soprattutto nella chirurgia della mano; fu per me un’esperienza straordinaria: fui immediatamente scaraventato in sala operatoria, iniziato ai rudimenti dell’arte della Chirurgia e inserito nel lavoro quotidiano ospedaliero come mai era successo nelle cliniche universitarie; in definitiva abbandonai la frequenza di quelle cliniche per seguire il professor Mantero: lui fu per me non solo un maestro e mentore, ma quasi un secondo padre, tanto che per molti anni correva voce popolare che dopo il suo pensionamento avesse preso il suo posto il figlio…».
– Quante volte ha rinunciato a operare un paziente e perché?
«È successo diverse volte, sempre per scelta ragionata seguendo gli insegnamenti del professor Mantero: la prima dote del chirurgo, a suo dire, è la comprensione del limite della nostra arte, e la attenta valutazione delle reali necessità del paziente che abbiamo di fronte. Ogni intervento deve avere lo scopo di aiutare quel paziente a raggiungere un obiettivo realistico, non a soddisfare le proprie velleità chirurgiche».
– Ricorda un caso che ha segnato la sua attività?
«Il primo reimpianto di una mano amputata, all’età di 36 anni: fu uno dei primi in Italia ed ebbe un ottimo risultato. Credo che in quell’occasione il prof. Mantero individuò quale potesse essere il suo successore».
– A che cosa ha rinunciato per la professione o per eseguire un intervento urgente (un viaggio, un incontro, una festa, una vacanza)?
«Come per tutti i chirurghi che abbiano lavorato in reparti di emergenza, come il nostro, non si contano i casi di questo tipo, la nostra vita è costellata di rinunce anche all’ultimo momento. Un esempio: ho un rapporto molto stretto con le mie cugine, figlie del fratello di mio padre, l’artista Mario Rossello, al quale ero affezionatissimo: non ho potuto partecipare al matrimonio di tutte e due le mie cugine per lavoro… me lo hanno perdonato a stento dopo alcuni anni! Ma soprattutto ha pesato la poca presenza in famiglia, avrei voluto passare molto più tempo con le mie figlie, quando erano piccole…».
– Cosa caratterizzava la sua specialità (diagnostica per immagini per inquadramento patologia, tecnologia chirurgica) quando ha iniziato?
«Lo sviluppo della microchirurgia, è stato il mio cavallo di battaglia e la marcia in più che ho potuto utilizzare all’inizio della mia carriera».
– Dove sarà la sua specialità fra 5/10 anni? Quali sono i trend che trasformeranno il suo lavoro e quali elementi resteranno immutati?
«Sono convinto che lo sviluppo delle tecniche che utilizzano la realtà virtuale (VR) e l’intelligenza artificiale (AI) aiuteranno molto la nostra Chirurgia, non cambierà la necessità del rapporto diretto con il paziente, unico e insostituibile modo di creare un rapporto empatico, comprendere i suoi bisogni e definire quale possa essere la migliore risposta che possiamo offrire».
– Pratica o ha praticato qualche sport? Quale?
«Ho praticato molti sport. Andiamo con ordine: sci, dall’età di 4 anni, basket a livello semiprofessionistico (serie C), volo acrobatico con aereomodelli (ho vinto il campionato italiano nel 1985), motocross ed Enduro (ho vinto il Campionato regionale e ho partecipato alla 6 giorni di Enduro-Campionato mondiale a squadre come pilota ufficiale del Team Husqvarna Olanda), golf, diving, vela in deriva e soprattutto d’altura, anche qui vincendo o andando a podio con la mia Obsession in un’infinità di regate, fino al 2° posto agli Europei del 2019. Di questi non pratico più solo il basket e il golf (almeno per ora), tutti gli altri mi vedono ancora attivo, incluso l’Enduro!».
– Ha un hobby o appartiene alla categoria di professionisti che come hobby hanno il lavoro?
«In conseguenza agli sport sopra ricordati, parte dei miei hobby sono collegati a quelle attività: manutenzione della barca, della moto, degli aereomodelli, e a questi si aggiungono la passione per i viaggi avventurosi (rigorosamente fai da te) e lo studio della mitologia e religioni delle antiche civiltà, passione che ho sempre avuto fin da bambino. Decisamente non c’è solo il lavoro nella mia vita».
– Cosa pensa la sua famiglia (quella che ha formato) del suo impegno?
«Grande rispetto per l’impegno e i risultati lavorativi, anche se , come ho detto, ha sottratto molto tempo alla vita famigliare , d’altra parte grazie a questi risultati ho potuto offrire loro una vita e delle opportunità di alto livello».
– Cosa ha consigliato ai suoi figli? Li ha spinti o intende spingerli a seguire le sue orme?
«Ho due figlie femmine, che ho sempre lasciato libere di decidere la propria vita, così come fece mio padre con me. Una oggi è un manager di alto livello nelle Organizzazioni umanitarie, l’altra è un brillante avvocato; ad ambedue ho consigliato di seguire esclusivamente il proprio personale istinto per scegliere l’attività più consona alle loro attitudini, come fu per me l’idea di sfruttare l’abilità manuale e l’istinto a riparare le cose. Credo che inoltre più di tutto abbia contato l’esempio di famiglia a affrontare tutto con serietà, impegno e resilienza alle avversità, e a guardare sempre avanti».
– Fino a quando pensa di lavorare?
«Fino a quando conserverò la capacità di svolgere il mio lavoro con lo standard attuale. Non credo oltre i 75 anni, anche se il professor Mantero lavorò fino all’ultimo giorno di vita, a 83 anni!».