Il giro del mondo in 80 minuti, con la mostra di Salgado a Palazzo Ducale
Massimiliano Lussana ci racconta la mostra “Aqua Mater” di Sebastiao Salgado, in corso fino al 14 luglio a Palazzo Ducale, oggetto dell’ultimo “Mercoledì della cultura” promosso da Montallegro
Personalmente, se dovessi scegliere uno e uno solo dei punti di svolta e di crescita di Palazzo Ducale negli ultimi anni, indicherei senza dubbi le mostre fotografiche.
Si è partiti con quella, splendida, sui fotografi dell’agenzia Magnum, che ha avuto come spin off quella sul Covid firmata da Alex Majoli, che ha raccontato i giorni della nostra solitudine e del dramma con grandissime tavole realizzate come allestimenti teatrali.
Poi, come abbiamo raccontato qui in “Genovese per caso”, c’è stata la trilogia fotografica del Sottoporticato, che sembra uno spazio nato apposta per queste esposizioni. Soffitti bassi, fresco naturale, ottima acustica sia per le guide che per il sonoro che accompagna le mostre, soprattutto la retroilluminazione delle fotografie che le rende ancora più belle e significative.
Questo, a mio parere, è l’elemento più prezioso, qualcosa che equipara gli scatti a quadri, con un semplice contorno minimalista che le esalta e quasi le porta a uscire dalla cornice. Dalla tela, mi stava uscendo “dalla penna”.
In particolare, la trilogia delle mostre fotografiche qui è cominciata con lo splendido bianco e nero di Letizia Battaglia, davvero emozionante e ricca di passione civile, ma anche la continuazione è stata assolutamente dello stesso livello, con i bambini di Steve McCurry, dove – insieme ai loro occhi – il ruolo civile e civico di Palazzo Ducale è stato elevato a potenza da tutte le dichiarazioni sui diritti dell’infanzia.
E lo stesso stile si ritrova in tutte le carte sull’acqua che contrappuntano “Aqua mater”, la mostra con le fotografie di Sebastiao Salgado in corso fino al 14 luglio, dal martedì alla domenica, dalle 10 alle 19.
Personalmente, è quella che ho amato più di tutte, anche per la differenziazione degli scenari, a partire dalla foresta amazzonica, che è il primo mondo in cui si imbattono i visitatori, ed è di una bellezza straordinaria, che lascia a bocca aperta, secondo spettacolo dopo l’accoglienza agli ospiti dei “Mercoledì (e non solo) della cultura” di Villa Montallegro da parte di Emilia Ferraris.
Alcune di queste fotografie, per esempio quelle con le gocce di pioggia che contrappuntano l’immagine, sembrano quasi litografie di Dürer, splendide e affascinanti, con i particolari dell’immagine che paiono schizzi di china.
Ma, soprattutto, tutte quelle della serie brasiliana, le più belle della mostra a mio giudizio, ci riportano le atmosfere dei fumetti della nostra gioventù e dell’aereo di Mister No in viaggio sopra l’Amazzonia e il Pantanal, protagonista proprio di alcune di queste foto. L’Amazzonia e il Pantanal, intendo, non Mister No.
E qui, in questo gioco di rimandi a precedenti “Mercoledì della cultura”, i luoghi fotografati nel Pantanal, con fanghi e sabbie che sembrano quasi non luoghi, mi hanno riportato alla splendida esposizione di Francesco Jodice a Palazzo Grillo, “Nuova Terraferma”. E le banchine scarificate del porto di Genova potrebbero essere qui, in lande quasi innaturali della regione più naturale del mondo, l’interno (e l’inferno) del Sudamerica e del Brasile. O sulla luna.
Ecco, se dovessi trovare un valore aggiunto, l’ennesimo, alle iniziative di Villa Montallegro e alla scelta anche delle mostre da parte di Francesco Berti Riboli, ci metterei proprio la possibilità di fare collegamenti e di mettere le mostre a confronto.
E qui siamo nel paradiso dei confronti e dei punti di contatto, meglio che all’esame di maturità o con la tesina delle medie, quando “il candidato” deve industriarsi per collegare il programma di letteratura con quello di educazione fisica.
Ovviamente, non manca la materia “educazione musicale”, visto che le atmosfere che si sprigionano dalla mostra sono quelle di “Cangaceiro” dei primi Litfiba, con Piero e Ghigo quasi selvaggi nel creare atmosfere, esattamente come creano atmosfere i suoni che contrappuntano la mostra, con il rumore lontano delle cascate o il fruscio degli alberi o i tuoni prima dello scatenarsi di una pioggia monsonica che, abbinati alle immagini, ci portano una volta di più nel mondo fotografato da Salgado, ma ci portano per davvero. Fonografie, hanno scritto i curatori di questa parte e mai espressione mi è sembrata più adatta allo scopo. Perché, addirittura, sembra di respirare l’umidità.
Dopo il Sudamerica, davvero la più affascinante, ovviamente, Salgado ci porta negli altri continenti, che sono sei come ci hanno raccontato proprio Palazzo Ducale e il Teatro Nazionale in occasione di “Genova capitale del libro”, dove il sesto continente è, per l’appunto, il mare. Quindi, la sublimazione di questa storia.
E così nella sala successiva si finisce in Africa, con gli occhi di un giaguaro acquattato sulle rive di un fiume, pronto al balzo, fotografato praticamente in diretta e probabilmente dopo ore e ore di attesa, ma anche un gruppo di zebre, affascinanti e ancora più esaltate dal bianco e nero della fotografia sul bianco e nero naturale, quasi un messaggio calcistico subliminale che avrà fatto felice il padrone di casa di questo mercoledì.
E ancora, la siccità, e fotografie che ci iniziano ad altre arti: alcune nuvole che sembrano quadri rinascimentali, come quelli esposti negli ultimi anni al piano superiore del Ducale, fino alla cinematografia con scatti che sono neorealismo puro.
Al giro del mondo di Salgado non manca nemmeno l’Italia con uno scatto di pescatori a Trapani che con le loro facce e le loro rughe segnate dal sole sono quasi un sequel del film di Emanuele Crialese, “Respiro”, con le strade di Lampedusa che quasi uscivano dallo schermo, così come questa barca di legno quasi esce dal pannello della mostra.
E, ancora, la lirica con i pescatori bambini in India che sembrano un coro lirico, la splendida foto di una nave in Bangladesh, spiaggiata probabilmente per la demolizione, con l’impressionante scala della chiglia in primo piano e gli uomini che sono quasi puntini infinitesimali, come le gocce di pioggia del monsone in Amazzonia.
E poi la sala dedicata ai Poli Nord e Sud, con il divertentissimo tuffo dei pinguini, come in Madagascar o come all’Acquario a pochi metri da qui, per la gioia di Beppe Costa. E, ancora, sempre fra i ghiacci, il castello naturale di ghiaccio, e le renne in gruppo, e la coda della balena e le foche, che forse sono foto più “normali”, più conosciute, ma che sono splendide, emozionanti.
Ecco, vedere questa mostra è come fare il giro del mondo.
Non in ottanta giorni, in ottanta minuti.