Le sfide e le priorità del nuovo primario, che frequenta Montallegro per l’attività in libera professione

Andrea Giusti è stato nominato all’inizio di giugno nuovo primario di Medicina Interna dell’ASL 3, proseguendo il percorso iniziato nel 2017 come dirigente medico nella struttura di Reumatologia. Il dottor Giusti, genovese, classe 1974, Specialista malattie metaboliche ossee e metabolismo minerale scheletrico, ha scelto Montallegro quale sede per l’attività in libera professione.

– Quali sono le sfide più importanti che si trova ad affrontare in questo ruolo?
«La sfida più grande è sicuramente la cura e l’assistenza degli anziani liguri, in particolare genovesi. La nostra regione ha la popolazione più anziana d’Italia e una delle più anziane al mondo. Questa longevità comporta una maggiore incidenza di patologie e fragilità. Il ricovero di un paziente anziano è complesso perché, come dice un collega internista, la nostra è la “medicina del caos”. Il paziente viene ricoverato per un problema, ma spesso la sua fragilità porta a nuove patologie o alla riacutizzazione di altre. Spesso presentano limitazioni funzionali, disabilità derivanti dal ricovero e, talvolta, anche problemi socio-assistenziali. Questo richiede un approccio olistico, multidisciplinare e multiprofessionale, che coinvolga tutti gli attori sanitari: medici, infermieri, OSS, fisioterapisti, terapisti, nutrizionisti, logopedisti».

– In questo contesto, quali sono le possibili azioni da intraprendere per migliorare i servizi offerti?
«L’ASL 3 Genovese da anni ha sviluppato Percorsi Diagnostico Terapeutici Assistenziali (PDTA), che rappresentano un patrimonio importante per la popolazione. Ci sono diversi PDTA attivi: sullo scompenso cardiaco, sulle fratture, su patologie internistiche di vario tipo, respiratorie e gastroenterologiche.
Un altro aspetto fondamentale è il percorso ospedale-territorio. Non possiamo limitarci a stabilizzare il paziente e rinviarlo a domicilio. Dobbiamo creare un percorso di continuità assistenziale, identificando i punti di criticità che potrebbero portare a un nuovo ricovero e gestirli attraverso attività di telemedicina o ambulatoriali. Questo significa migliorare la qualità di vita del paziente, ridurre l’accesso al pronto soccorso e risparmiare risorse».

– Quali sono le maggiori criticità che si trova ad affrontare?
«La carenza di personale è la principale criticità. Mancano medici, infermieri e OSS, conseguenza di una programmazione errata degli ultimi 40 anni. I concorsi vanno vuoti, i medici non si trovano, tanto che si è arrivati ad assumere medici ancora in formazione, come è successo durante il Covid. Questa difficoltà è legata anche alla diminuita attrattività della professione medica, un problema che riguarda soprattutto alcune specialità che richiedono sacrifici importanti.
Un’altra criticità è l’aggressività verso gli operatori sanitari, che talvolta è degenerata in atti di violenza. Anche se sono casi limitati, è necessario uno sforzo culturale per invertire la tendenza, enfatizzando i servizi validi ed efficienti e i progetti che portano risultati significativi, non solo gli eventi di malasanità che spesso finiscono alla cronaca».

– In questo scenario, come possono collaborare pubblico e privato, per garantire un servizio efficiente ed equo?
«La sinergia tra pubblico e privato può aiutare a vincere le sfide che l’attuale sistema sanitario ci pone e in Italia abbiamo alcune esperienze positive in tal senso. Un esempio lo abbiamo avuto con il Covid, quando pubblico e privato si sono affiancati con obiettivi comuni, portando a un grande risultato. Ricordiamoci sempre che tutto ciò che spendiamo in sanità, lo recuperiamo in prodotto interno lordo, come evidenziano autorevoli studi della Bocconi.
In un rapporto che deve essere finalizzato all’obiettivo comune della salute, la collaborazione pubblico-privato è sempre benvenuta e auspicabile.  Questo richiede uno sforzo culturale, idee, personale e professionalità. È un percorso già più rodato in altri paesi, in Italia siamo partiti in ritardo, ma non dobbiamo dimenticarci che gli italiani sono fantasisti e spesso hanno le idee migliori».

– Da anni Lei svolge attività in Montallegro. Di cosa si occupa in struttura?
«In Montallegro mi dedico principalmente alle malattie ossee, il mio campo di specializzazione. In particolare, insieme al professor Bianchi, abbiamo sviluppato un programma per il trattamento del morbo di Sudeck, una sindrome algodistrofica molto dolorosa, utilizzando un farmaco bifosfonato endovenoso. Siamo l’unico Paese al mondo a trattare tale patologia con questo farmaco e ciò ha attirato pazienti a Montallegro da tutto il mondo, dimostrando come il privato, con strumenti culturali e competenze, possa diventare il punto di riferimento per la cura di patologie complesse».

– Quali sono le novità più importanti nel campo della ricerca sulle malattie ossee?
«Come ASL 3 Genovese e come gruppo di esperti di malattie ossee, siamo stati i primi in Italia a utilizzare un nuovo farmaco, il Romosozumab, che è rivoluzionario nel trattamento della fragilità ossea. Più in generale, la ricerca sta portando a grandi progressi, soprattutto per le malattie ossee rare, altamente disabilitanti, che colpiscono già bambini e neonati. Oggi disponiamo di almeno tre o quattro farmaci per il trattamento di queste malattie.
Mentre nell’ambito delle malattie meno rare, come le forme di osteoporosi fratturative, abbiamo schemi terapeutici innovativi e avanzati, frutto della ricerca italiana. Il gruppo genovese, insieme ad altri gruppi di Verona, Milano e Roma, continua a produrre pubblicazioni scientifiche che cambiano il modo di curare i pazienti. Infine, Genova è stata la prima città italiana, nel lontano 2001, ad avere un servizio di ortogeriatria, un modello di cura per il paziente anziano fratturato, che viene curato assieme dall’ortopedico e dal geriatra o internista, in collaborazione con i fisioterapisti».

Argomenti: ,

Scritto da:

Redazione