Il chirurgo senologo si racconta tra attività professionale e passioni

Stefano Spinaci, chirurgo della mammella, racconta per il magazine di Montallegro la sua carriera medica e le passioni che accompagnano la sua vita, a partire dai motori.

– Dottor Spinaci, cosa l’ha spinta a diventare un chirurgo senologo?
«È difficile individuare una singola persona o un evento. Il mio percorso è stato influenzato da tanti “maestri”, dai direttori di specialità, ai primari, fino ai colleghi con più esperienza. Tutte figure fondamentali che mi hanno trasmesso la passione per questo lavoro e la voglia di apprendere ogni giorno».

-È stata una decisione immediata o maturata nel tempo?
«Sin dall’università sentivo forte l’attrazione per la chirurgia. Durante la formazione, la senologia ha catturato la mia attenzione: l’approccio completo, che va ben oltre la sala operatoria e l’impatto sulla vita dei pazienti mi hanno spinto a sceglierla come professione».

– Tra i tanti interventi, ne ricorda uno in particolare?
“Ogni volta che entro in sala operatoria provo un senso di grande responsabilità che rende ogni intervento speciale a modo suo. Tuttavia, sono passati tanti anni, ma il primo intervento di mastectomia bilaterale lo ricordo ancora nitidamente».

– Nella sua specialità, la componente psicologica ed emotiva è particolarmente forte. Come si pone nei confronti delle pazienti?
«Sono componenti preponderanti. Le pazienti si trovano ad affrontare un momento delicato, il cui impatto emotivo è fortissimo. Il ruolo medico in ambito oncologico non può prescindere dalla presenza, l’assistenza e il supporto emotivo. Ben oltre la sala operatoria e le visite concordate. Dare il mio numero di telefono a ogni paziente è un gesto di vicinanza e supporto».

– Quale consiglio darebbe a un giovane che vuole intraprendere la sua stessa strada?
«Il più difficile: avere pazienza. È un lavoro che richiede una grande dedizione e può spesso risultare molto faticoso. Ma la soddisfazione di aiutare le persone a superare un momento difficile e la possibilità di imparare continuamente ripagano di ogni sforzo».

– Come è cambiata la chirurgia senologica negli anni?
«In 15 anni la specialità ha fatto passi da gigante, da ogni punto di vista: tecnico, applicativo e oncologico. Gli interventi sono sempre meno invasivi e le nuove tecnologie permettono di ottenere risultati migliori, preservando al massimo la qualità della vita. Oggi parliamo di robotica, di chirurgia mininvasiva, conservazione linfonodale, trattamenti chemioterapici sotto dosati, endocrinoterapia, ovvero farmaci anti-tumore che non sono chemioterapici. Nel prossimo futuro, ci sarà anche la genomica. Il trattamento del DNA nel tumore della mammella, come per altre patologie neoplastiche e non solo, rappresenta una bella sfida».

– C’è qualcosa che vorrebbe cambiare nell’attuale sistema sanitario?
«Ho avuto l’occasione di girare un po’ per lavoro e, nonostante tutti i suoi limiti, credo che il sistema sanitario nazionale italiano sia tra i migliori al mondo. Tuttavia, ci sono aspetti sicuramente critici. A partire dalle strutture, su cui occorrerebbe fare investimenti. E poi la mancanza di medici e infermieri. La richiesta di servizi cresce quotidianamente, ma spesso manca personale specializzato».

– È il momento di sbottonarsi il camice. Quali sono le sue passioni extra-lavorative?
«La mia più grande passione, oltre la medicina, sono i motori. Sin da piccolo ho amato le auto da corsa. Ogni tanto, tempo permettendo, riesco ancora a cimentarmi in qualche gara. Ma a ottobre diventerò padre per la prima volta, e credo che questa passione per i prossimi anni sarà un po’ limitata».

– C’è un episodio automobilistico che ricorda con particolare orgoglio?
«Una vittoria in una gara a Misano, con un caldo torrido e una temperatura infernale nell’abitacolo. Quella giornata mi ha regalato emozioni intense, anche per via di un amico che ha avuto un grave problema cardiaco durante la competizione e di cui ho saputo tutto solo al termine della gara. È stata una giornata che rimarrà negli annali, che potrò raccontare anche a mia figlia».

– Qual è la sua macchina preferita?
«Per le corse, niente batte le Porsche. Una vera passione!»

– Pratica altri sport oltre ai motori?
«Ho praticato qualsiasi tipo di sport, tranne il calcio. Soprattutto sport da combattimento, come la boxe e il savate. Per me lo sport è fondamentale per il benessere fisico e mentale, quindi cerco di ritagliarmi sempre un po’ di tempo per allenarmi, anche a costo di andare in palestra alle 5 di mattina».

– Siamo arrivati all’ultima domanda. Qual è il suo legame con Montallegro?
«Montallegro è un luogo speciale per me. Qui ho avuto la fortuna di lavorare e imparare da colleghi che mi hanno insegnato molto, come il dottor Beppe Canavese e il dottor Carlo Vecchio, la cui scomparsa, un paio di anni fa, è stata un grande dispiacere per chi lo conosceva.
Il “bar della Montallegro” è stato, ed è tuttora, un luogo di veloce incontro tra professionisti, di scambio di idee anche con persone che magari non svolgono più la professione attivamente, ma con le quali c’è spesso l’occasione tra un tramezzino e un caffè (al volo) di ricevere un buon consiglio.
Per non parlare del rapporto personale di amicizia con Francesco Berti Riboli, cuore e anima della struttura, da sempre».

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Redazione