«La mia vita on the road». Intervista a Manuele Furnari
Il gastroenterologo si racconta tra attività professionale e passioni
Manuele Furnari, specialista in gastroenterologia e professore associato del Dipartimento di Medicina interna e Specialità mediche (D.I.M.I.) dell’Università di Genova, racconta per il magazine di Montallegro la sua carriera medica e le passioni che accompagnano la sua vita, a partire da quella per i viaggi.
– Prof. Furnari, c’è stato un evento o una persona che l’ha ispirata nella scelta di diventare medico?
«Probabilmente mia madre, perché ne parlavamo spesso quando ero piccolo. Come molti bambini, sognavo di fare l’astronauta o il medico. È stata quindi una scelta abbastanza semplice».
– Come ha scelto invece la specializzazione in gastroenterologia?
«È stato il primario di gastroenterologia Emanuele Meroni a trasmettermi l’entusiasmo per questa specialità. Mi ha fatto capire la poliedricità della gastroenterologia che abbraccia tanto l’aspetto terapeutico quanto quello diagnostico-strumentale, come l’endoscopia».
– Quali sono stati i progressi più significativi che hanno interessato questa specialità?
«Dal punto di vista strumentale, il miglioramento della qualità dell’immagine e le performance dei software ci permettono di diagnosticare lesioni sempre più piccole e di prevederne le caratteristiche. Questa possibilità è stata accompagnata da un’evoluzione degli aspetti clinici. Oggi possiamo rimuovere in endoscopia lesioni che un tempo richiedevano la chirurgia. In ambito diagnostico, lo studio del microbiota intestinale sta aprendo nuove prospettive nella comprensione della salute e delle malattie di un paziente».
– C’è un episodio della sua carriera particolarmente significativo?
«Più che un singolo episodio, ciò che mi ha fatto crescere professionalmente è stato il confronto con realtà differenti. Ho trascorso periodi in Germania, Olanda e Giappone e ho partecipato a diversi meeting e corsi di aggiornamento internazionali. Queste esperienze mi hanno permesso di creare una rete di collaborazioni e di capire cosa significa “standard of care” (standard di cura), confrontandomi con diverse realtà e approcci».
– Quale consiglio darebbe a un giovane che vuole intraprendere la sua stessa strada?
«Coltivare la curiosità e viaggiare, in senso metaforico e letterale. La curiosità è fondamentale per non cadere nella routine e per cercare sempre di migliorare. Confrontarsi con altre realtà aiuta ad acquisire un senso critico e a definire la propria visione della professione».
– C’è qualcosa che vorrebbe cambiare nell’attuale sistema sanitario?
«Negli anni, siamo passati da una medicina basata sulle esperienze personali a una medicina basata su “gold standard”, per quella che viene definita “evidence-based medicine”. A mio parere, il traguardo dovrebbe essere raggiungere la “value-based medicine”. Nella valutazione dell’efficacia di una procedura, bisognerebbe valutare meglio il suo costo-beneficio in termini di miglioramento della qualità di vita del paziente e di impatto sul sistema sanitario».
– È il momento di sbottonarsi il camice. Quali sono le sue passioni extra-lavorative?
«Sicuramente viaggiare, scoprire culture e paesaggi diversi. Una scoperta che riguarda anche il buon cibo, alla ricerca di gusti e tradizioni locali, per sperimentare nuovi sapori».
– I suoi viaggi sono all’avventura o iper-organizzati?
«Sono completamente auto-organizzati, ma con gli anni – e il minor tempo a disposizione – ho cominciato a strutturarli maggiormente. Una volta arrivato a destinazione, mi piace però lasciarmi trasportare dall’atmosfera del posto e concedermi qualche divagazione».
– Quale è stato il suo ultimo viaggio? E quale sarà il prossimo?
«Recentemente sono stato a Parigi, per il mio compleanno. Il precedente mi aveva invece portato a New York. Come prossimo viaggio mi piacerebbe andare in Islanda, un paese che non ho mai visitato. Tornerei volentieri in Giappone, per esplorare la parte nord del paese e le sue zone montuose».
– Come riesce a mantenere un equilibrio tra la vita professionale e quella privata?
«Rinunciando alle ore di riposo! Scherzi a parte, bisogna per forza rinunciare a qualcosa. Cerco di sfruttare al massimo tutte le ore della giornata ed evitare il superfluo».
– Siamo arrivati alle ultime domande. Qual è il suo legame con Montallegro?
«Mi lega un senso di appartenenza, come a una famiglia. Ho trovato in Montallegro un gruppo di colleghi di cui mi fido ciecamente, con cui ho un rapporto che va al di là della semplice collaborazione professionale».
– C’è un episodio o una figura che la lega in maniera particolare alla struttura?
«Quando ho iniziato a lavorare a Montallegro, Gian Mazzarello e Luca Cevasco mi hanno accolto e guidato con i loro consigli. Mi fa sempre molto piacere ricordare Gian, una persona sempre positiva e di grande umanità».