Massimiliano Lussana racconta la mostra dedicata a Franco Maria Ricci, visitabile fino al 30 giugno alla Loggia degli Abati di Palazzo Ducale
Sembra quasi un gioco di parole da “Settimana enigmistica”, rubrica “cambio di consonante intermedia”.
Ma il racconto di questo “Mercoledì (e non solo) della cultura” è davvero racchiuso in tutto questo: la mostra di FMR – raccontata anche grazie a FBR – dove il primo acronimo sta per Franco Maria Ricci, che è il protagonista della mostra, un cultore del bello e il secondo è Francesco Berti Riboli, l’organizzatore della visita guidata, insieme a Villa Montallegro, un cultore del bello pure lui.
E allora fra FMR e FBR la differenza è minima e vale la pena di raccontare questa mostra, “Franco Maria Ricci. L’Opera al Nero” ospitata nella Loggia degli Abati e in corso fino al 30 giugno dal martedì al venerdì dalle 10 alle 18 e il sabato e la domenica dalle 10 alle 19, con riposo il lunedì.
E qui va fatta una precisazione: per sua natura proprio la Loggia, all’interno di Palazzo Ducale, è lo spazio destinato a ospitare le mostre più “minimal”, quelle fatte di molte idee e di non moltissimi contenuti, perché – a differenza dell’Appartamento del Doge, dello stesso SottoPorticato e a suo modo anche del Munizioniere – è un ambiente fatto a sua volta di tanti piccoli ambienti, un labirinto di stanze (e storie) che si rincorrono e si aprono su altre stanze, come quelle case dove si affacciano in continuazione salottini, stanze e cabine-armadio sul percorso principale.
Tutto questo, è inutile negarlo, non aiuta le mostre kolossal, quelle in cui i grandi spazi fanno la differenza. Ma è perfetto per le “mostre bomboniera”, quelle che invece sono una sorta di piccolo scrigno che si apre su altri scrigni. E se con “Calvino cantafavole” il risultato non era stato epocale – anche per la qualità dei materiali esposti che, in qualche modo, erano il lato B della grande esposizione dedicata a Calvino alle Scuderie del Quirinale a Roma e quindi, a tratti funzionava un po’ come il decluttering di quello che era stato esposto nella Capitale – qui invece il risultato è perfetto.
Perché ogni materiale, ogni quadro, ogni libro, ogni immagine esposta ha una sua logica e un suo perfetto inserimento nel racconto. E, soprattutto, racconta la ricerca del “Bello” assoluto da parte di Franco Maria Ricci.
E anche qui, come spesso capita raccontando “I mercoledì (e non solo) della cultura” butto lì idee, concetti, parole, nomi. Che poi aprono mondi come fosse una matrioska di idee, una finestra che si allarga su altre finestre, dove non sai più dov’è l’orizzonte, né da dove sei partito, ma proprio questo è il suo bello, la sua ricchezza: e così è quasi inevitabile non partire dalla collaborazione fra FMR e Borges, con “La biblioteca di Babele” che mette insieme i testi più esclusivi e amati, ma contemporaneamente può essere letta insieme ai diciotto volumi dell’Enciclopedia di Diderot, ma anche a quelli di Luigi Serafini, che realizzò anche lui con Franco Maria Ricci un’enciclopedia, ma senza veri testi e con un alfabeto completamente inventato. FMR, la rivista, è sì l’acronimo del nome dell’autore e editore, ma se letto alla francese anche Efemer, che è una parola splendida, “la perla nera” per Federico Fellini, “la rivista più bella del mondo” per Jacqueline Kennedy.
Vedere il video nell’ultima sala, che è qualcosa fra il magical mistery tour dei Beatles, un filmato psichedelico e la gioia dei colori, racconta la mostra e la vita di Ricci senza una parola, ma semplicemente con le immagini, come sarebbe piaciuto a lui. Particolarmente significativa, quando cedette la rivista per poter realizzare l’altro suo sogno, quello del labirinto, l’immagine della rosa simbolo dell’editrice che perde i petali, come fossero lacrime. L’ultimo editoriale.
E poi, per l’appunto, il Labirinto della Masone di Fontanellato, l’ultimo sogno, in provincia di Parma, dove le forme della razionalità incontrano l’idea della città ideale, in qualcosa che mette insieme Borges, che infatti sta proprio di fronte, come se gli allestimenti raccontassero la stessa storia da due punti di vista speculari, ma anche la campagna emiliana e i suoi sapori, ma anche Tommaso Campanella, l’utopia, i falansteri e il sogno di Owen o Fourier.
É come un gioco di rimandi dove si cerca tutto e dove si può trovare di tutto, questa mostra: i caratteri Bodoni – che ovviamente sono il marchio di fabbrica e il cuore del pensiero di FMR – ma anche il maglione e i colori di Missoni, i biglietti dell’Alitalia, uno diverso dall’altro, che ci sono rimasti in tasca anche dopo la sparizione della compagnia e che, a differenza dei punti Millemiglia, sono maledettamente reali, loro che sembravano quasi finti all’inizio, con quegli scontornati che uscivano come sempre sul nero dominante dell’immaginario di Ricci.
E ancora marchi della nostra gioventù: quello di Poste Italiane – non l’ultimo, ma che è ancora possibile trovare in qualche ufficio postale decentrato dove il restyling giallo e blu non è ancora passato e anche in una delle sedi di Sampierdarena – e quello di Banca Manusardi, che ci riporta alle copertine di Class e di Capital che di Ricci erano l’emulazione ma, non potendo mai eguagliarlo, si limitavano ad omaggiarlo deferenti. Oppure le cucine della Smeg.
Insomma, c’è dentro il miglior design italiano, ma anche la santificazione della piccola e media impresa che è la spina dorsale del nostro Paese, ma anche il racconto – che oggi ci sembra impossibile – di quando l’Italia era la quarta potenza al mondo. E non parliamo del Medioevo o di Goffredo di Buglione.
Questa straordinaria ricerca del bello, sempre e comunque, quasi assoluta, quasi filosofica, si ritrova anche nelle citazioni del classicismo di Canova e nella sala dove, grazie semplicemente a uno specchio, pare di entrare nella biblioteca di FMR, e dove si viaggia dalla via Emilia al West, dal trash al sublime, dalle copie maldestre agli splendidi originali, da Roland Barthes a Ligabue e la sua follia, con Cesare Zavattini e forse anche Francesco Guccini e Umberto Eco come possibili tratti unificanti.
Insomma, è impossibile non innamorarsi di FMR, a partire dal suo sole dorato che ovviamente risalta straordinariamente in mezzo al nero.
Non è la mostra più bella di sempre. Ma fa entrare in un mondo. É di più.