Massimiliano Lussana ci porta nell’universo di Lisetta Carmi, a cui è dedicata la mostra in corso al Sottoporticato di Palazzo Ducale fino al 30 marzo 2025

Entrare in una mostra fotografica e mettersi a guardare subito un video proiettato nelle sale dell’esposizione, teoricamente non testimonia moltissimo sul valore artistico della mostra. Tranne che si tratti della mostra di Lisetta Carmi, “Molto vicino, incredibilmente lontano”, in corso al Sottoporticato di Palazzo Ducale fino al 30 marzo 2025, dal martedì alla domenica dalle 10 alle 19, con ultimo ingresso alle 18.

Un’esposizione che è stata l’ultimo tassello dell’anno dei “Mercoledì della cultura” di Villa Montallegro, un altro pezzo del viaggio del mondo Montallegro e della curiosità golosa di Francesco Berti Riboli in tutto ciò che fa cultura a Genova e dintorni, nel senso più ampio che la parola sa avere, che si tratti degli Oltregiogo Days o del racconto di sport, innovazione e medicina al Ducale in occasione del Festival della scienza. O, ancora, la Bibbia Atlantica e le sue splendide miniature e la nascita dell’impressionismo femminile targato Morisot.

E invece il filmato, quello che in genere scoraggia i visitatori di ogni esposizione, dove spesso si stravaccano sulle poltroncine i visitatori stremati dall’esperienza espositiva, è un valore aggiunto assoluto di questa mostra. E vale la pena di fermarsi a guardarlo all’ingresso dell’esposizione delle fotografie, o alla fine, a seconda del punto di vista che si sceglie. Perché, davvero, il punto di vista è la chiave per comprendere nel migliore di modi questa mostra, la cartina di tornasole per apprezzare il lavoro firmato da Giovanni Battista Martini, curatore dell’archivio di Lisetta Carmi, e dalla direttrice di Palazzo Ducale Ilaria Bonacossa.

Nel filmato, realizzato a Cisternino – dove la fotografa genovese ha trovato il suo buen retiro, in questo paese della Valle d’Itria, in provincia di Brindisi, vicino a Fasano, Martina Franca, Ostuni e Locorotondo, all’incrocio con le provincie di Taranto e Bari, dove la Puglia inizia già a profumare di alto Salento – Lisetta racconta le sue scelte di vita, il suo animo e l’anima del suo lavoro, perfettamente raccontata dalla frase simbolo della mostra: «Quando mi chiedono “Chi ti ha insegnato a fotografare?” rispondo “La vita”».

Insomma, non è possibile assistere alla mostra senza innamorarsi di Lisetta, di Lisetta persona intendo, fin dal momento in cui racconta il suo incontro con i transessuali, a una festa in cui decise che, in qualche modo, quel mondo e quella comunità sarebbero diventati la sua famiglia allargata. A partire dalla foto del manifesto, con Dalida che aspetta i clienti su una sedia davanti al suo basso nei vicoli e contratta con un marinaio, elegantissimo nella sua divisa da militare di leva.

In molti casi, i soggetti sono ripetuti, come se la Carmi volesse prenderci per mano e raccontarci i suoi personaggi passo passo, come se volesse renderceli familiari, come se volesse farci entrare in quei bassi, in quei letti, pregare quei rosari e guardare quelle Madonne. Come se potessimo respirare l’odore intensissimo o il profumo, a seconda dei gusti e dei punti di vista, delle colonie su quei comodini.

Questo ciclo di fotografie che vivono la comunità dei travestiti genovesi – quasi il secondo tempo di quelle esposte lo scorso anno a Palazzo Reale nella mostra Transizioni che raccontò Genova con lo sguardo della Fondazione Ansaldo – raccontano quel mondo meglio di qualsiasi lungo saggio. Moltissimi trans hanno rosari, quadri religiosi o Madonne nella loro camera, a fianco del letto, altri hanno anche le loro foto barbute che raccontano la loro prima vita.

Ma sarebbe assolutamente riduttivo e sbagliato fermarsi alle foto di Lisetta Carmi con i transessuali, perché dall’esposizione di Palazzo Ducale esce anche tanto altro, a partire dalle foto di viaggio, per arrivare a quelle di Genova, che sono esse stesse viaggi, anche nell’ambito di poche decine di chilometri, a partire da quelle della serie “Erotismo e autoritarismo a Staglieno” che raccontano il cimitero monumentale come una metafora della società borghese dell’Ottocento e delle sue convenzioni e equilibri di poteri. Personalmente, sono quelle che mi piacciono meno, ma sono utilissime nel viaggio attraverso la mostra per raccontare tutte le sfaccettature dello spirito di Lisetta. Che anticipano di decenni anche alcune cose viste quest’anno alla Biennale veneziana. A testimonianza di quanto fosse avanti questa donna, prima ancora di quanto sia stata avanti questa fotografa.

Colore e bianco e nero si alternano e, davvero, anche la scansione fotografica è una sorta di racconto artistico, come fosse Picasso con i suoi periodi cromatici.

E così, in qualche modo, dai caruggi a Staglieno, fino a Cornigliano, a Sampierdarena, a corso Torino e a Prà nasce una mappa alternativa di Genova, quasi un navigatore, una Google Map delle emozioni, prima che Google Map o Google Street View esistessero, che racconta la città e i suoi protagonisti meglio di qualsiasi lungo saggio.

E dell’Italsider e delle banchine genovesi – che in qualche modo fanno uscire l’anima persino dalle tute degli operai, dagli altiforni, dalle gru, come se fossero anch’esse soggetti e non complementi oggetti delle fotografie – esce il racconto del saper fare e della capacità di creare uno splendido ossimoro, come se la Genova industriale potesse essere raccontata anche in modo artigianale.

Cosi come la parte più entusiasmante della mostra è quella relativa alle foto all’anagrafe, che in qualche modo è il racconto di costume dell’Italia pre-autocertificazioni, le code infinite per fare documenti agli sportelli, che diventavano un ulteriore momento di vita, come se l’ottenimento dopo ore del certificato di nascita, di residenza o dello stato di famiglia per iscriversi a scuola, all’ufficio di collocamento o per andare in banca a fare una pratica fosse un ulteriore atto, altrettanto importante come il lavoro, l’atto o la scuola stessa.

Ecco, in questa serie di foto, con i cartelli che indicano il singolo sportello, Lisetta dà il meglio di sé, rubando letteralmente l’anima dei personaggi rappresentati.

È come se dalle bocche dei personaggi uscissero le nuvolette che raccontano le storie: c’è il signore che ha lo sguardo attonito, basito e quasi disperato di fronte probabilmente a una spiegazione insoddisfacente dell’impiegato comunale e la signora inviperita che sprigiona forza ed energia nella sua probabile invettiva.

E sembra di sentire l’urlo, più Munch di Munch. Lisetta.

Scritto da:

Massimiliano Lussana

Massimiliano Lussana, 49 anni, giornalista, si definisce “affamato e curioso di vita”.