La mostra, che raccoglie 120 opere, resterà aperta fino al primo settembre
Quando Francesco Berti Riboli, che è papà e mamma dei “Mercoledì (e non solo) della cultura” di Villa Montallegro, della stessa Villa Montallegro e vicepresidente di Palazzo Ducale, ha ipotizzato che per vedere “Nostalgia” ci possano volere più visite e spiegato che si sta studiando la possibilità di dare la possibilità di vedere la mostra in tre giornate diverse, con una sorta di “abbonamento” che permetta di godere appieno di tutti i quadri esposti, Emilia Ferraris, che in queste settimane ha gestito agende e prenotazioni dei “Mercoledì (e non solo) della cultura, dove “e non solo” va inteso proprio nel senso letterale della parola, ha avuto un principio di svenimento. Poi, la notizia che non ci si riferiva a tre mercoledì di fila, ma alla possibilità di godere appieno la mostra ha avuto un effetto catartico su di lei, più efficace dei sali.
Ma, il punto è proprio questo: i 120 quadri esposti richiedono proprio uno sforzo fisico per poter essere completamente apprezzati dai visitatori, perché altrimenti il rischio è proprio quello di perdersi, di perdersi qualcosa, ma anche di perdersi in se stessi. E pensate che questa mostra – pittorica, iperpittorica – è anche contemporaneamente iperletteraria, non solo per le citazioni che campeggiano sopra le sale, ma anche perché – circostanza straordinaria per un’esposizione – è diventata anche un podcast, cioè il più moderno e anche modaiolo dei linguaggi. E quindi è nato così “Sulla Nostalgia”, un podcast con la doppia firma di Sara Poma e di Chora Media, la società che a mio parere firma il migliore catalogo di questo genere, realizzato insieme a Palazzo Ducale-Fondazione per la cultura, ancora una volta all’avanguardia su un progetto.
Insomma, se di solito queste puntate di “Genovese, per caso”, per cui ringrazio sempre Francesco Berti Riboli, perché sono una grande opportunità, sono un po’ un affastellato di appunti e di emozioni che ho vissuto personalmente e provo a ribaltarli su di voi, stavolta questo racconto sarà addirittura moltiplicato.
Perché “Nostalgia” racconta la modernità di un sentimento e lo fa in mille modi diversi, dal rinascimento al contemporaneo con una bella idea e, se possibile, un difetto: l’essere troppo disorganica se non si entra perfettamente nel pensiero che sta dietro al racconto della mostra, che resterà aperta fino al primo settembre a Palazzo Ducale dal martedì al venerdì dalle 11 alle 19 e sabato e domenica dalle 10 alle 19, con la chiusura della biglietteria un’ora prima, il tempo minimo indispensabile per almeno intravedere le opere.
Anche perché le sezioni sono undici: nostalgie, melanconia, nostalgia di casa, nostalgia del Paradiso, nostalgia del classico, l’età della propaganda, nostalgia dell’antico, nostalgia dell’altrove, gli sguardi della nostalgia, nostalgia della felicità e nostalgia dell’infinito. E tutto questo si abbina a citazioni, frasi che contrappuntano le opere: Recalcati, Freud, Dante, Milan Kundera, Byron, Omero, ovviamente con l’Odissea che è il capolavoro di sempre sulla Nostalgia, Esiodo, Proust, D’Annunzio e ovviamente Leopardi.
Insomma, fare un riassunto di tutto questo è praticamente impossibile. E quindi parto da ciò che ho amato di più: il quadro con il blu Klein, i tagli di Fontana e l’ultima sala di arte contemporanea, che a mio parere è la più bella della mostra, con anche il celeste che entra prepotentemente negli occhi e nei cuori, quasi un Klein passato in una vitale candeggina pittorica.
E so che in quello che sto per raccontare siamo nei dintorni del trash e che, in mezzo a capolavori, raccontare i “post it” è quasi un giochino, un particolare, ma anche i foglietti adesivi gialli nella sala del bookshop in cui i visitatori raccontano cos’è per loro la nostalgia o anche semplicemente “nostalgia” sono perfetti per creare questa atmosfera.
E poi, sul taccuino, sul mio personalissimo cartellino, come quando Rino Tommasi votava i match di pugilato, in cui solitamente c’era sempre Mike Tyson, ci metto soprattutto i quadri delle ultime sale, i più recenti: il luna park di Giacomo Balla, i quadretti dei bambini, l’installazione con materiali vari nella cappella con un colore diverso che si materializza davanti ai nostri occhi a seconda del lato in cui si vede l’opera. E lì, perfettamente, c’è la definizione dell’arte contemporanea che poi torna nella sala successiva e che poi ritroveremo anche la settimana successiva nel Mercoledì dedicato alla lettura del tempo a Palazzo Nicolosio Lomellino: dalla rappresentazione dell’oggetto o del reale alla rappresentazione dell’idea.
E ancora le spiagge, le moschee, i sapori d’Oriente, l’ottovolante, ma soprattutto la sensualità dei corpi nudi alle Terme Pompeiane che ricorda il bagno turco di Ferzan Ozpetek, la gioia anche peccaminosa di entrare in una dimensione quasi senza più tempo e in un luogo elevato a potenza che diventa non luogo. Perché lì ci si lascia andare. E la stessa nudità è quella che traspare dal quadro, dove in qualche modo si vorrebbe entrare, come quando si è alle terme.
E, ancora, lo splendido racconto della nostra guida che ci ricorda il “premio Cremona” voluto dal gerarca Farinacci in contrapposizione al “premio Bergamo” che premia Guttuso e Mafai, in quadri che sono razionalismo elevato a pittura, con personaggi squadrati e temi duceschi. Diciamolo chiaramente, al di là di ogni connotazione politica: un capolavoro è un’altra cosa.
Così gli autori sono costretti in qualche modo ad estrarre particolari dai quadri d’insieme, come una fotografia ingrandita e sfuocata fino al punto di concentrarsi su un unico soggetto rappresentato. E la sublimazione di questo è una donna, un donnone, una madre, una matrona, che diventa una Madonna, con il bimbo in grembo. Insomma, non un quadro, ma sostanzialmente l’ingrandimento di un altro quadro.
E poi un po’ di architettura: Piacentini, ma anche Coppedè e il Castello MacKenzie, in storie che si rincorrono e si affastellano, in una mostra omnibus che ha anche i piatti di Gio Ponti firmati Richard Ginori.
Insomma, di tutto e di più. Forse anche troppo.
Poi, sempre a Palazzo Ducale, quando si esce, nel chiostro del Loggiato Maggiore c’è l’installazione “Orlando’s Library“, cinquantadue “copertine rovesciate”, firmata da Daniela Comani e realizzata con il contributo di Villa Montallegro, che reinterpreta in chiave gender i titoli di alcuni classici della letteratura. Ecco, non c’è miglior modo per terminare la visita, per sorridere, per amare questa mostra.
Anche quando la mostra è finita.