Federico Calissano, genovese, dottore commercialista e revisore legale dei conti, fondatore dello studio legale tributario ECOVIS STLex, ha convissuto per tutta la vita con una problematica ortopedica che lo ha costretto, in passato, anche a una lunga degenza in Montallegro, per oltre 3 mesi. Con lui inauguriamo la rubrica “Storie di salute e di benessere”, nella quale saranno i pazienti a raccontare il loro vissuto, offrendo una testimonianza diretta e personale, per condividere sensazioni e consigli utili per affrontare al meglio il percorso di cura.

– Quale dei valori di Montallegro ha risuonato per lei, determinando la scelta del ricovero in struttura?
«Sono stato ricoverato più volte, ho vissuto Montallegro in day hospital, nei due giorni di ricovero e nei 100 di degenza, oltre e svariate occasioni ambulatoriali per visite, diagnostica e fisioterapia. Sono scenari completamente diversi. Quando sono stato ricoverato a lungo, sono venuto per un’urgenza, ma conoscevo molto bene la struttura e ho potuto scegliere a ragion veduta. Il primo aspetto determinante per la scelta è stata la qualità della struttura, riconosciuta in Liguria e non solo. Poi la libertà di scelta del medico curante, altro elemento essenziale. Infine, l’opportunità di restare a Genova, nella mia città, è un valore innegabile, ma non è stato il primo elemento di scelta».

– Cosa significano 100 giorni di ricovero?
«Sono oggettivamente lunghi. Il tempo passa lentamente, si ha modo di riflettere sui propri problemi, magari sulle malattie, ma anche di impostare un rapporto diverso con le persone che ti stanno intorno, a partire dai medici e infermieri che ti hanno in cura. Questo è molto importante perché la qualità del rapporto con il personale aiuta tantissimo: non è solo l’aspetto medico, ma anche e soprattutto, l’aspetto relazionale».

– Come si esprime questa cura nelle relazioni?
«Un ricovero non è mai una passeggiata, si entra con apprensione, incertezza del futuro. Però lo dico sempre: in Montallegro, in una sola parola, ho trovato sorrisi. Qui le persone fanno il loro lavoro, sono professionisti altamente qualificati, a volte sono anche molto decise, però sorridono: dal medico curante agli infermieri. Ed è importantissimo, sostiene nel complesso processo di guarigione».

– Il sorriso significa anche ascolto.
«Essere ricoverati in una clinica privata, brutalmente, implica un rapporto di sinallagma: si paga per un servizio, si pretende un certo tipo di standard. In realtà, quel che ho trovato è andato oltre il rapporto meramente economico. Non ho mai messo in dubbio la qualità dei professionisti, ho trovato in più una grande capacità di accoglienza e di ascolto».

– Che consiglio darebbe a un paziente che deve affrontare un percorso simile?
«Ognuno vive la sua storia e le sue patologie, non si può mai generalizzare. Certamente il mio percorso ha comportato molta pazienza. Come ricordo sempre, per tutto il lungo periodo di degenza ho messo l’umore in stand-by. Forse questo è il primo consiglio che mi sento di dare. Non aspettarsi nulla dal quotidiano, ma affidarsi a chi si prende cura di te. Per questo è molto importante il rapporto diretto con il medico curante. Montallegro ti consente di avere il tuo medico di fiducia, ed è un’opportunità essenziale, da sfruttare appieno».

Ha invece un consiglio per Montallegro?
«So che recentemente Montallegro ha attivato due spazi attrezzati (palestre) per la prima riabilitazione, dedicati ai ricoverati. Ai tempi del mio ricovero, i fisioterapisti potevano trattarti in camera o in corridoio oppure quando era necessario – per un trattamento più intensivo – spostarsi nelle palestre di villa Rosa. La ritengo una scelta vincente e consiglio di comunicarla il più possibile. Il centro di riabilitazione attrezzato nello stesso fabbricato dedicato alla degenza, soprattutto per un paziente che come me aveva delle grandissime difficoltà motorie, è un ulteriore plus che può contribuire a rendere una degenza meno faticosa».