Il sistema sanitario italiano sta attraversando un complesso periodo di cambiamenti, acuiti solo in parte dalla recente pandemia. Mentre le esigenze di una cittadinanza sempre più anziana sono in costante aumento, le professionalità sanitarie richieste sono in diminuzione: il tutto in un contesto che vede il rapporto tra sanità pubblica e privata in evoluzione.

Di questi argomenti si è parlato lo scorso 22 aprile nel workshop “Sanità pubblica e privata. Quali possibilità per i laureati in Medicina?” rivolto agli studenti di Medicina e agli specializzandi e organizzato dalla Fondazione Rui e dalla Residenza Universitaria Delle Peschiere, che da quasi trent’anni ospita studenti fuori sede nella villa d’epoca immersa nel quartiere di Albaro.

Moderati da Paolo Petralia, DG ASL 4 Liguria, sono intervenuti Francesco Quaglia, DG Ospedali Galliera, Alessandro Bonsignore, presidente Ordine dei Medici della Provincia di Genova e della Liguria e Francesco Berti Riboli, ad di Montallegro e presidente sezione Sanità Confindustria Genova.

In particolare, Francesco Berti Riboli ha delineato alcuni elementi chiave dell’attuale scenario. «La pandemia ha solo accentuato un’evoluzione della sanità italiana che vede ormai il privato, accreditato e non accreditato, come parte integrante del Servizio Sanitario Nazionale, perché di fatto assolve a una quota rilevante delle esigenze collettive. Senza il privato, il SSN non si reggerebbe. Bastano questi numeri: la spesa sanitaria nazionale ammonta oggi a oltre 160 miliardi di euro annui e un quarto (40 miliardi) di questa spesa è classificabile come “out of pocket” (OOP) cioè pagata direttamente dai cittadini. Non ha più senso contrapporre il pubblico al privato, ma solo la loro collaborazione può garantire il corretto funzionamento del sistema, assicurando l’universalità dell’assistenza e proteggendo anche la possibilità, per chi lo desidera, di ricevere servizi di qualità diversa».

Francesco Berti Riboli ha poi concentrato la sua attenzione sulla “crisi delle vocazioni”. «Le strutture sono spesso in difficoltà perché, all’aumento della domanda si contrappone una diminuzione del numero dei lavoratori, soprattutto in alcune specialità come anestesia (terapia intensiva) e medicina d’urgenza. Occorre ripensare la formazione, individuando nuovi criteri che consentano di allineare la programmazione degli accessi ai reali fabbisogni degli ospedali, ma anche individuare nuovi percorsi di formazione per figure ausiliarie, di notevole importanza per il funzionamento complessivo del sistema».

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