Mercoledì della cultura
Straordinario e quotidiano. Da Strozzi a Magnasco, nel racconto di Lussana
A Palazzo della Meridiana fino al 16 luglio in mostra quaranta opere di artisti genovesi dal Cinquecento al Settecento
Sono reo confesso: quando ho letto che i protagonisti del “Mercoledì (e non solo) della cultura” di Villa Montallegro erano Strozzi e Magnasco, persino io che sono un fedelissimo ho vacillato. Non perché siano scarsi, ma perché non è il mio genere. Ma l’invito di Francesco Berti Riboli è scritto talmente bene che io che sono come il Cornetto, con il cuore di panna, mi sono lasciato intenerire e sono andato a Palazzo della Meridiana per la mostra “Straordinario e quotidiano”. Che ha anche un sottotitolo: “Da Strozzi a Magnasco”, per l’appunto. Ma che ha anche il sottotitolo del sottotitolo: “Umane contraddizioni negli occhi dei pittori”, che dice moltissimo dell’idea dei curatori Agnese Marengo e Maurizio Romanengo, che firmano la mostra che sarà in scena a Palazzo della Meridiana fino al 16 luglio, da mercoledì a domenica e nei giorni festivi dalle 11 alle 18.
Insomma, è stata una sorpresa, una bella sorpresa, l’ennesima di un mese di Mercoledì (e non solo) della cultura, fatto di Man Ray, di Cominetti, di Design e salute nella BeDesign Week, di Fondamenta 2, di OltreGiogo che è quasi il trionfo del calendario di Villa Montallegro. Un mese epico, in cui Francesco Berti Riboli (e lo staff guidato da Marie Claire Alliod) non si è fermato un attimo. Ma, fidatevi, ne valeva la pena. Persino di Strozzi e Magnasco.
Perché – al di là del mio iniziale e preventivo scetticismo – ne è uscito un grandissimo Mercoledì, un pomeriggio sensuale in cui l’arte è entrata in noi grazie a quadri, racconti, aneddoti, storie, bellissimi. Innanzitutto, raccontiamo cos’è la mostra: quaranta opere di artisti genovesi dal Cinquecento al Settecento, provenienti indifferentemente da musei o da collezioni private, con cinque sezioni tematiche che mettono a confronto storie e contraddizioni, proprio sulla falsariga della promessa iniziale: “Straordinario e quotidiano”. E poi “Miseria e nobiltà”, “Ozio e negozio”, “Santi e peccatori” e “Corpi svelati e abiti indossati”.
E qui, esattamente come ho fatto con Cominetti, cito Madame e Marracash, altrimenti “Genovese, per caso” non è valido, come se fosse una regola di ingaggio ulteriore. Perché questa mostra è il corrispettivo di “L’ Amore” o di “Persona”, cioè di concept album che raccontano una storia attraverso le loro tracce. Ecco, questa è una “concept mostra”.
E allora racconto, prendendoli dai miei appunti, in modo disordinato, alcune delle cose che mi porto a casa da questa esposizione che – se dovessi definire con una parola, una sola – direi che è sensuale. Nel senso di peccaminosa, emozionante, che fa sognare, che dà i brividi, come una donna bellissima che ti entra dentro un po’ alla volta. Vedo e non vedo.
E così, disordinatamente, ci si imbatte in un tassello di “Sulla rotta dei capolavori”, il percorso attraverso la città voluto da Anna Orlando che porta anche in questa mostra un “Ospite a sorpresa” (giuro che la definizione è ufficiale e scritta a caratteri cubitali sulle didascalie dei muri della mostra) come il quadro di Antonio Travi detto il Sestri che mostra i bagnanti sulla spiaggia di Sampierdarena e Cornigliano.
E questi bagni al mare sono perfetti nella sezione “Ozio e negozio” in cui i paesaggi costieri con l’aurora e i pescatori si alternano a vetrinette con i contratti in mostra e la contabilità delle aziende, con il lavoro indefesso che si alterna ai fine settimana che non si chiamavano fortunatamente ancora week-end, ma che è già l’alternanza fra gli affari e il riposo con i picnic in riva al mare o nelle ville in campagna, quelle di Busalla e della Valle Scrivia, ma anche della prima Val Polcevera, con i quadri che diventano splendidi manuali di storia di Genova e dei suoi cambiamenti, come libri della storiografia delle Annales fatta di pennellate.
E poi ci sono i picari.
Che tutti noi, o almeno i più grandicelli di noi, abbiamo iniziato ad amare con il film di Mario Monicelli, con Giuliana De Sio che faceva la prostituta ribelle e che ha fatto sognare intere generazioni con il suo nudo, e la scena in cui si spiega il valore di una mercanzia setosa, senza che ci sia assolutamente nulla di forzato e volgare, ma straordinaria in questo film, anche grazie ai suoi capelli rossi (e non solo, proprio come i mercoledì).
Insomma, la sigla iniziale di quel capolavoro di Monicelli diceva: “Noi siamo Picari/Soprattutto siam liberi/Come gli zingari/Non molto stabili, uccelli tra gli alberi o topi tra i mobili/Noi siamo nomadi/Coi nostri limiti/Ammazzati dai debiti/Siamo diversi dai nostri simili, siamo maestri dei sogni impossibili/Noi siamo Picari/E come cani parliamo alla Luna (ascoltaci)/Poveri ciechi vendiamo fortuna/Ascoltaci, ascoltaci, ascoltaci/Dacci di più/Noi siamo Picari/Perversi lunatici/Fantasmi invisibili/In mondi frenetici/Daremmo un occhio per un po’ di fortuna (ascoltaci)/La vita è un balocco, un pozzo, una luna/ Ascoltaci, ascoltaci, ascoltaci/Dacci di più/rubare/mangiare/dormire/Qualche volta la luna – eh, qualche volta”.
Versi, come tutta la colonna sonora, firmati da Lucio Dalla (e da Mauro Malavasi, uno dei suoi storici compagni di scorribande musicali) e che vi ho ricordato perché i picari sono i protagonisti di un altro momento altissimo della mostra, dove si vedono questi personaggi di origini nobili, ma spiantati, più spiantati che nobili, in verità, che sono protagonisti di quadri anche in questo caso antitetici, come tutta la mostra che si diverte a giocare con gli ossimori.
E in questo gioco di mostra che rimanda al film e viceversa, nella sigla di Monicelli sono citati “Il Trionfo di Bacco” di Velázquez, “Il baro con l’asso di quadri” di Georges La Tour, “La sepoltura del conte di Orgaz” di El Greco e “Il suonatore di ghironda” ancora di La Tour. E poi “Le filatrici” di Velázquez, “Il funerale della sardina” di Goya, un particolare de “La Dama con l’ermellino” di Leonardo, “Il Sarto” di Giovan Battista Moroni e “La resa di Breda” ancora di Velázquez.
E così, anche nella mostra, si vede a un certo punto Borzone che simpatizza con il vecchio che perde tutto a carte, compresa la giacca, con i giovani monelli che se la passano ridendo, ignorando il suo dramma. Mentre, qualche decennio dopo, in Magnasco e nel suo sguardo non c’è assolutamente più traccia di questa pietas, ma solo una condanna senza appello. Per tutti, picari e vittime.
Le citazioni di Caravaggio, anche nell’uso della luce, pure impareggiabile, abbondano in questi quadri e l’ultima sala è forse la più divertente con voluttuosità, uno splendido nudo femminile di spalle, Giove che riempie i suoi ospiti nel quadro di pioggia dorata, e Bianca Maria Carpineto, “cacciatrice di vesti e di uomini”. E già così, solo dalla definizione, è bellissima.