Si stima che nei Paesi occidentali la prevalenza dell’insufficienza venosa cronica (in acronino IVC) superi il 40% nella popolazione generale e superi il 50% negli over 50, con una frequenza 2-3 volte maggiore nel sesso femminile. Esiste anche un’evidenza clinica di forte eredofamigliarità (vale a dire che questa malattia si riproduce nelle generazioni) nello sviluppo precoce e a maggior penetranza (è il termine utilizzato per indicare la frequenza con cui un gene si manifesta all’interno di una popolazione) della malattia in discendenti diretti di pazienti varicosi. In Montallegro sta nascedo un Centro di diagnostica e terapia vascolare che è stato presentato durante uno degli incontri della serie “Uomini, strumenti, passione: Montallegro presenta…”, dedicati all’ambiente sanitario della Casa di Cura.
Ne parliamo con il prof. Claudio Pecis (nella foto) che svolge attività di consulenza per la Flebologia Avanzata in Villa Montallegro. Pecis è anche responsabile dell’Unità funzionale di Angiologia dell’Ospedale Humanitas-Gavazzeni e consulente per la diagnostica e la terapia chirurgica flebologica avanzata, nella Clinica Città di Parma, dove è responsabile del Centro specialistico di insegnamento per tutte le metodiche terapeutiche delle malattia a carico del sistema venoso superficiale e profondo mediante le più innovative tecniche endovascolari.
Un Centro di diagnostica e terapia vascolare in Montallegro
– In Villa Montallegro lei sta avviando l’attività di un Centro di diagnostica e terapia vascolare. Può riassumere che cosa significa?
«Nella visione moderna delle persone, influenzate anche dai social-media, un Centro simile ha come fine il benessere completo delle gambe. Questo significa che ogni “gamba” ha delle necessità di cura proprie e delle aspettative di risultato alte in termine di funzione e di estetica. Questo secondo me deve essere il nuovo approccio che caratterizza il rapporto Angiologo-Paziente».
– Per ogni paziente una cura specifica?
«Non tutte le vene si sfilano, non tutte debbono essere “chiuse”e non tutti i pazienti debbono essere operati per forza. La “gamba grossa” è spesso non il risultato di una malattia venosa, ma di una concomitante serie di patologie distrettuali, non ultima la cellulite che è fonte di malessere a volte peggiore della malattia varicosa. Potrei citare altri esempi di problematiche che il Flebologo è chiamato a risolvere ma, mi dilungherei troppo in dettagli, quindi volendo riassumere, secondo me, il tutto nasce da un rapporto di fiducia che si crea inizialmente durante la fase importantissima della visita clinica e della diagnostica strumentale con Ecocolordoppler ed Ecografia che deve essere effettuata in prima persona dallo specialista all’interno di un Centro di Flebologia Avanzata».
L’insufficienza venosa cronica
– Dottore, quali sono i sintomi dell’insufficienza venosa cronica?
«La sintomatologia è estremamente variabile e può andare dal semplice senso di peso alle gambe, alla stanchezza delle stesse a fine giornata, ai gonfiori, ai crampi, soprattutto notturni, al prurito sino al dolore quando si cammina, giungendo a seri sintomi, interpretabili come segni clinici di severità ed avanzamento della malattia, come le pigmentazioni cutanee, gli edemi declivi (cioè la ritenzione d’acqua nelle parti base del corpo), le dermo-ipodermiti (lesioni più o meno marcate del derma), gli eczemi, gli episodi di erisipela (infiammazione acuta con macchie rosse e gonfiori), le varicorragie (emorragie a carico di vene) e le ulcere».
L’esame EcocolorDoppler
– Cosa deve fare il paziente?
«Oggi la sensibilità alle problematiche venose è in aumento e sempre più spesso i pazienti si presentano nelle prime fasi della malattia alla visita specialistica flebologica o nell’Ambulatorio di diagnostica vascolare non invasiva sottoponendosi all’EcocolorDoppler».
– Lei esegue personalmente gli esami EcocolorDoppler?
«Certamente. Le visite di chirurgia vascolare e angiologia possono comprendere gli esami EcocolorDoppler arteriosi e venosi di tutti i distretti corporei incluse le arterie renali e il plesso pampiniforme (rete venosa situata nella fossa iliaca), con apparecchiature in HD con sonde multifrequenza. La diagnosi precoce, ovviamente, previene lo sviluppo di possibili gravi complicanze, tipiche degli stadi avanzati dell’insufficienza venosa cronica, prima fra tutte la comparsa dell’ulcera venosa ma anche di episodi di trombosi venosa superficiale o flebite e anche, in casi più rari, con altre concause, lo sviluppo di trombosi venose profonde. Con l’esame EcocolorDoppler si può correttamente diagnosticare un’insufficienza del sistema venoso».
Quando è necessario l’intervento chirurgico
– Quando è necessario l’intervento chirurgico?
«I pazienti affetti da trombosi venosa profonda o superficiale debbono essere correttamente seguiti sia per quanto riguarda la terapia medica sia per quelle situazioni limite, soprattutto a carico di pazienti con episodi particolarmente impegnativi di trombosi venosa superficiale, che possono richiedere un intervento chirurgico mirato».
– Come si interviene chirurgicamente?
«Oggi utilizziano le più innovative tecniche endovascolari a carico sia della vena grande safena sia della vena piccola safena e della malattia varicosa in toto, compresi gli impegnativi quadri clinici delle varici recidive. La terapia chirurgica endovascolare è mininvasiva e può essere adottata mediante terapia laser endovascolare (EVLA), terapia endovascolare a radiofrequenza (RFA), scleromousse o la più recente e innovativa terapia endovascolare con colle biocompatibili (cianoacrilati). L’anestesia utilizzata è sempre locale, quindi tollerata anche in pazienti della terza età».
– Quando è necessario l’intervento chirurgico i tempi di attesa sono lunghi?
«Dalla prima visita all’intervento i tempi di attesa sono rapidi, nell’ordine dei sessanta giorni, con un percorso di accompagnamento del paziente pre e post-operatorio standardizzato e facilitato dalla mia équipe. La ripresa post-operatoria è rapida e con eventuali modesti disturbi facilmente controllabili con l’assunzione di comuni antinfiammatori. La ripresa lavorativa, a seconda delle categorie, può già verificarsi nella prima settimana post-operatoria. Il paziente non deve essere ospedalizzato per un tempo superiore alle 12 ore e una volta al proprio domicilio può, da subito, attendere alle normali attività domestiche».
– Sembra tutto molto semplice…
«Le tecniche chirurgiche attuali consentono al paziente, senza antiestetiche cicatrici, senza traumi chirurgici, senza prolungata degenza, con sola anestesia locale, soprattutto con ripresa funzionale quasi immediata, di vedere risolta una patologia che potrebbe creare gravi complicanze di difficile risoluzione e gestione, e dal rilevante impatto socio-economico».