La rottura di uno qualsiasi dei componenti dell’articolazione ne può alterare la funzionalità, provocando processi patologici dell’artrofibrosi (formazione di un tessuto fibroso che inficia il movimento articolare) o dell’osteoartrosi (malattia degenerativa delle articolazioni).
La frattura rappresenta la perdita di continuità di un segmento osseo conseguente a un evento traumatico.
La diafisi (è la parte situata fra le due estremità) di un osso lungo ha molte funzioni. Le due più importanti consistono nel mantenere le corrispondenti articolazioni, prossimale e distale, nella loro corretta relazione spaziale e nel fornire un attacco per i muscoli che le muovono.
Le articolazioni presentono una grande varietà di strutture, ma hanno in comune caratteristiche essenziali per il loro funzionamento: le strutture capsulo-legamentose e la cartilagine articolare.
Le fratture possono essere extra-articolari e articolari. Le prime interessano il solo segmento osseo (fratture diafisarie) senza coinvolgimento della superficie articolare; mentre le seconde coinvolgono le superfici articolari fra due capi ossei con conseguente danno anche della cartilagine.
A seconda della sede e del tipo di frattura l’intervento chirurgico può essere eseguito in anestesia locale, epidurale o plessica.
Nel trattamento delle fratture diafisarie, la tecnica di fissazione più frequentemente usate sono il posizionamento dei cosiddetti “mezzi di sintesi”: il chiodo endomidollare, l’osteosintesi con placca e viti e la fissazione esterna.
I chiodi endomidollari sono tutori interni e consentono il carico dell’arto in tempi più rapidi.
Le placche e le viti sono indicate per le fratture diafisarie che si estendono verso la zona metafisarie (cioè verso l’estremo della parte lunga dell’osso) o vicino all’articolazione.
I fissatori esterni sono utilizzati in caso di gravi alterazioni dei tessuti molli (cioè quei tessuti che ricoprono l’osso), come l’infezione o le alterazioni della circolazione sanguigna.
Il trattamento delle fratture articolari prevede l’utilizzo come mezzi di sintesi di placche e/o viti.
La rimozione dei mezzi di sintesi avviene indicativamente dopo 12-18 mesi dal precedente intervento di osteosintesi.
Questo tipo di intervento prevede un’incisione chirurgica sulla precedente ferita e la successiva rimozione di placche, viti, chiodi endomidollari, fili.