Patologia tiroidea
La tiroide è una ghiandola endocrina che si trova nella regione anteriore del collo.
Il trattamento chirurgico è indicato nei casi di alterazioni della funzionalità tiroidea che comportino un aumento di volume della ghiandola (con disturbi compressivi su organi vicini o danno estetico), non siano curabili con terapia medica e per le neoplasie (benigne e maligne).
Il trattamento chirurgico della patologia tiroidea – come da linee guida internazionali – può riguardare diverse situazioni che vengono qui di seguito descritte.
- Aumento delle dimensioni di uno o dei due lobi della ghiandola di tipo degenerativo (gozzo semplice uni o multinodulare) con diametro anteroposteriore (= dalla parte anteriore a quella posteriore del collo) dei lobi superiore a 2 cm e/o presenza di nodulo dominante con diametro superiore a 2/3 cm, che può preludere all’incremento evolutivo delle dimensioni fino a dare sintomatologia compressiva sulle strutture circostanti, con meccanismo di deviazione/compressione su trachea, esofago e grossi vasi. Si può manifestare senso di massa al collo, alterazioni estetiche del profilo cervicale, tosse, senso di soffocamento, difficoltà alla deglutizione, variazioni del tono della voce, turgore dei vasi del collo. Talvolta può comparire dolore per fenomeni emorragici. La sintomatologia peggiora con lo sviluppo retrosternale del gozzo, quando cioè la ghiandola trova spazio in basso dietro lo sterno verso il torace. Il trattamento chirurgico ideale è costituito dalla tiroidectomia totale (asportazione completa della tiroide) o più raramente dalla loboistmectomia totale (asportazione di metà tiroide estesa all’istmo), se il lobo controlaterale è privo di noduli.
- Produzione di eccesso di ormoni tiroidei, con la comparsa di sintomi da iperfunzione tiroidea come tremore, irascibilità, insonnia, dimagramento, palpitazioni da tachicardia e altre alterazioni del ritmo cardiaco fino alla fibrillazione atriale. Il quadro può essere subclinico (= non provoca ancora sviluppo di segni e sintomi), con ormoni tiroidei ancora normali ma con TSH (ormone tireotropo ipofisario) diminuito, o conclamato, quindi anche con gli ormoni fT3 e/o fT4 aumentati (sono gli ormoni prodotti dalla tiroide che, insieme, collaborano al mantenimento dell’equilibrio e della crescita dell’orga¬nismo e allo sviluppo dell’energia sotto forma di calore). Questa condizione costringe il Paziente all’assunzione di terapia tireostatica (come il metimazolo, “Tapazole”) per riportare la ghiandola alla secrezione normale, ma con il rischio di tossicità del farmaco e/o di stimolo all’ulteriore crescita/ingrandimento della ghiandola. Questo accade per esempio nel gozzo tossico diffuso (“morbo di Basedow”), malattia di origine autoimmune in cui l’organismo produce anticorpi contro la propria tiroide che reagisce aumentando di volume e di attività, predominando i sintomi da ipertiroidismo e spesso l’esoftalmo (caratteristica alterazione oculare che comporta sporgenza dei bulbi fino a difficoltà a tenerli chiusi anche durante il sonno). La terapia medica, tireostatica e cortisonica, può non essere efficace e la persistenza o recidiva della malattia dopo 12-18 mesi rende necessaria la terapia ablativa, preferibilmente radiometabolica (con l’impiego di iodio radioattivo) per piccole tiroidi o chirurgica (tiroidectomia totale) preferibile per ghiandole ingrandite. La terapia ablativa chirurgica tiroidea può essere indicata anche nel tentativo di risolvere esoftalmi (i cosiddetti “occhi sporgenti”) resistenti. Nel gozzo nodulare tossico o adenoma di Plummer, l’ipertiroidismo è dovuto a un nodulo tiroideo che funziona producendo autonomamente eccesso di ormone, indipendentemente dalla regolazione fisiologica che il cervello esercita sulla tiroide. Generalmente il trattamento chirurgico ablativo, in presenza di iperfunzione o di nodulo > di 2 cm, corrisponde all’asportazione del lobo tiroideo sede dell’adenoma (loboistmectomia totale della tiroide).
Altra patologia che conduce all’ipertiroidismo è il gozzo multinodulare tossico, dove alcuni noduli producono eccesso di ormone, talvolta evoluzione nel tempo del gozzo multinodulare semplice. L’indicazione alla tiroidectomia totale è dovuta sia all’iperfunzione sia alle dimensioni dei noduli. - Sospetto o diagnosi certa di tumori maligni (carcinomi) della tiroide, per presenza di nodulazioni singole o nell’ambito di gozzi multinodulari. Si possono presentare adenomi follicolari(tumori benigni), carcinomi differenziati (carcinomi papillari o follicolari), carcinomi midollari (secernenti calcitonina), tumori indifferenziati o tumori rari (linfomi o metastasi di altre neoplasie). La diagnosi preoperatoria si avvale della valutazione clinica ed evolutiva nel tempo del nodulo, del dosaggio basale e/o stimolato della calcitonina (ormone secreto dalla tiroide, che favorisce la diminuzione del calcio e dei fosfati del sangue), dello studio delle caratteristiche ecografiche e dell’agoaspirato ecoguidato (aspirazione delle cellule del nodulo e/o di eventuali linfonodi attraverso puntura della cute del collo) per lo studio delle cellule e più recentemente delle eventuali mutazioni genetiche presenti. Purtroppo ancora oggi la diagnosi preoperatoria può non essere certa e l’esclusione di malignità può essere fornita solo dall’esame istologico definitivo del pezzo asportato, ottenibile dopo qualche giorno dall’intervento. Anche l’esame istologico intraoperatorio “al congelatore” è poco attendibile per fornire indicazioni sul tipo di intervento ideale da eseguire. Per questo, l’indicazione chirurgica riguarderà la loboistmectomia totale della tiroide o la tiroidectomia totale accompagnata o meno dall’asportazione di differenti livelli di linfonodi intorno alla tiroide e/o nel collo a seconda della diagnostica preoperatoria illustrata. Nel caso di sospetto di linfoma, guaribile con terapia medica, o di tumore indifferenziato, a pessima prognosi indipendentemente dalla radicalità chirurgica, potrà essere utile limitarsi all’asportazione di un frammento della neoplasia a scopo diagnostico o a una riduzione di massa neoplastica, valutando attentamente i vantaggi e i rischi di interventi più radicali, nell’ottica del mantenimento di una buona qualità di vita del Paziente. Fortunatamente le neoplasie maligne tiroidee più frequenti sono quelle differenziate, a crescita estremamente lenta, anche potendosi diffondere al di fuori della tiroide, invadendo le altre strutture del collo e creando metastasi a distanza, ai linfonodi del collo e/o ad altri organi, soprattutto ai polmoni. La guaribilità rimane comunque molto alta, grazie al trattamento complementare con terapia radiometabolica con I131 (iodio radioattivo). In caso, invece, di neoplasie più aggressive e/o avanzate può essere necessario eseguire nel periodo post-operatorio radio e/o chemioterapia.
Tutti gli interventi chirurgici eseguiti sulla tiroide prevedono un’incisione trasversale sulla superficie anteriore del collo (2-3 cm al di sopra del giugulo). Nell’ottica della tendenza a una chirurgia sempre più “mininvasiva” per quanto riguarda sia l’estetica dell’accesso cutaneo sia il rispetto degli organi interni, le dimensioni dell’incisione cutanea tendono a essere sempre più corte ma sufficienti a estrarre agevolmente e senza eccessivi stiramenti la ghiandola di cui, per questo motivo, si valuta accuratamente la volumetria. Questo per personalizzare la dimensione della ferita che deve essere la più piccola possibile, ma non lacerata, per permettere una guarigione senza inestetismi. Per questo il tipo di sutura cutanea finale è intradermica (cioè localizzata all’interno del derma), riassorbibile o a punti staccati rimovibili precocemente due giorni dopo l’intervento.
All’occorrenza ci si avvale di moderna strumentazione di taglio e coagulo e di strumenti ottici che migliorino la possibilità di lavorare in sicurezza in campi profondi attraverso piccoli accessi. La limitata dissezione dei tessuti peritiroidei – come per esempio il rispetto dell’integrità, quanto più è possibile, dei muscoli pretiroidei, divaricati ma non interrotti – permette di ridurre al massimo il dolore alla deglutizione che può manifestarsi nel periodo successivo all’operazione.
La procedura si esegue in anestesia generale e, per la caratteristica ricca vascolarizzazione della tiroide e la delicatezza delle strutture circostanti, ha una durata di circa 2 ore nel caso della tiroidectomia totale. Dopo l’isolamento della ghiandola dai muscoli anteriori e dai grossi vasi del collo, si interrompono i molteplici vasi che vanno alla ghiandola, per ridurre il rischio di sanguinamento che impedirebbe una perfetta visione. La delicatezza dell’intervento riguarda quindi l’accurata ricerca e rispetto delle 4 paratiroidi (si tratta di ghiandole endocrine poste in vicinanza della tiroide) e del decorso dei due sottili nervi ricorrenti, delicate strutture a stretto contatto con la capsula tiroidea. Dopo la rimozione della tiroide si esegue una scrupolosa valutazione del controllo del sanguinamento.
Al termine dell’intervento viene solitamente posizionato un sottile drenaggio (tubicino in silicone) – che ha lo scopo di consentire la fuoriuscita di sangue e siero dalla sede dell’intervento per accelerare l’adesione dei tessuti ed evitare ematomi – rimosso dopo 24-48 ore. Abitualmente il Paziente viene ricoverato il giorno dell’intervento e dimesso dopo 24-48 ore; raramente la degenza supera i 3-4 giorni.
Quando è necessario eseguire anche la linfectomia del comparto centrale monolaterale o bilaterale, la dissezione intorno alla tiroide si fa più delicata e rischiosa per asportare il tessuto linfatico anche intorno ai nervi ricorrenti e alle paratiroidi inferiori che spesso vanno rimosse con il tessuto che le contiene. La linfectomia laterocervicale consiste nell’asportazione di tutto il tessuto linfatico-adiposo che contiene le stazioni linfonodali dietro al muscolo sternocleidomastoideo (è uno dei muscoli laterali del collo), davanti ai nervi che vanno verso l’arto superiore e al nervo frenico, medialmente al margine del muscolo trapezio e lateralmente a carotide, giugulare e nervo vago, dal livello dell’osso mastoideo fino alla clavicola. Particolare attenzione si deve porre all’identificazione del nervo accessorio spinale che innerva muscoli della spalla e al dotto toracico che porta linfa.
La difficoltà e il rischio dell’intervento aumentano in presenza di particolari situazioni come uno sviluppo del gozzo a livello endotoracico (cioè nel tessuto connettivo che delimita la superficie interna della cavità toracica) che comporti la “lussazione” (= spostamento) al collo della ghiandola con maggior rischio di trazione/lesione dei nervi ricorrenti e/o delle paratiroidi, di sanguinamento, se non della necessità di eseguire una sternotomia o toracotomia (cioè l’incisione dello sterno o del torace) per permettere l’estrazione della ghiandola. Analogamente maggiori difficoltà di dissezione esistono in presenza di intensi fenomeni di peritiroidite nelle patologie infiammatorie e nel morbo di Basedow o in caso di reintervento per recidiva, data la possibilità di intensi fenomeni cicatriziali.
L’ipotiroidismo post-operatorio non è da considerarsi complicanza: l’asportazione della tiroide (peraltro già ammalata prima dell’intervento) richiede infatti quasi sempre una terapia di appoggio con ormoni tiroidei di sintesi. In caso di tiroidectomia totale, la terapia è necessaria perché “sostitutiva”, poiché l’organismo non produce più gli ormoni tiroidei. Se non viene completamente asportata la ghiandola (in caso di lobectomia o tiroidectomia subtotale) l’eventuale trattamento farmacologico ha lo scopo di “mettere a riposo” la tiroide residua (spesso malfunzionante), evitando la recidiva di malattia.
La cicatrice al collo in genere è corta e tende a essere poco visibile nel tempo. È normale per qualche settimana dopo l’intervento che la cute si presenti un po’ gonfia e arrossata: questo fenomeno è dovuto alla cicatrizzazione dei tessuti e al riassorbimento dei punti interni. Durante il primo mese dopo l’intervento è sconsigliabile mettere a contatto della ferita tessuti acrilici o di seta, meglio di cotone. È raccomandabile non esporre al sole diretto e prolungato (mare o alta montagna) la ferita nei primi 6 mesi dopo l’intervento.
È intuitivo che la rinuncia a sottoporsi all’intervento sulla tiroide indicato per le patologie indicate, secondo le più attuali linee guida internazionali, porterà danni al Paziente, certamente superiori ai rischi connessi alla procedura proposta. Nel caso di aumento volumetrico gozzigeno della ghiandola, l’evoluzione progressiva della malattia porterà all’insorgenza e/o al peggioramento dei sintomi compressivi correlati, fino a rendere necessario e improcrastinabile un intervento probabilmente in condizioni generali peggiorative per l’età del Paziente e di maggior difficoltà tecnica e rischio.
Nel caso di ipertiroidismo, l’uso prolungato della terapia tireosoppressiva potrà nuocere alla crasi ematica (rapporto tra i vari elementi del sangue) per la possibile tossicità ematopoietica (sintesi di globuli bianchi e piastrine). Inoltre la presenza di eccesso di ormoni tiroidei circolanti crea danni progressivi in primis all’apparato cardiovascolare (aritmie e ischemia cardiache, ipertensione), eventuale peggioramento dell’esoftalmo (i cosiddetti “occhi sporgenti”), patologie della fertilità e gravidanza.
Ovviamente l’astensione dalla rimozione di una patologia sospetta o tumorale porterà a una progressione della malattia con comparsa di sintomi dovuti all’infiltrazione locale di organi vitali come la trachea e l’esofago, il nervo ricorrente (con difficoltà respiratorie, alla deglutizione e alla fonazione) e la comparsa di metastasi linfonodali locoregionali e/o a distanza, principalmente ai polmoni e allo scheletro.
L’intervento chirurgico di tiroidectomia è considerato il “gold standard” tra le terapie ablative (cioè di rimozione). In presenza di elevato rischio chirurgico per età o comorbidità (sovrapposizione reciproca di patologie) e in casi particolari esistono tecniche ablative alternative. Per esempio, in caso di noduli di gozzo di natura cistica può essere considerata l’alcolizzazione del nodulo (iniezione di alcol etilico nel nodulo). I noduli tiroidei presumibilmente benigni possono essere trattati con la tecnica della radiofrequenza o il laser. La patologia iperfunzionante come l’adenoma di Plummer o il morbo di Basedow, se di modeste dimensioni, possono essere trattate con la terapia radiometabolica. Queste terapie ablative alternative offrono la possibilità di trattamenti ambulatoriali, anche se ripetuti, senza incisione cutanea. Peraltro possono comportare recidive e soprattutto non consentono la possibilità di esaminare istologicamente la lesione trattata per garantire una diagnosi sicura.